Atlante SPRAR

PhD in sociologia, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni a.p.s.. Si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata.
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18 luglio 2016
[caption id="attachment_1014" align="alignnone" width="1500"]A Riace abitano anche molti minori. Per loro è presente un parco giochi attrezzato e un campo di calcio che consentono uno svago oltre la scuola e le numerose attività didattiche. A Riace abitano anche molti minori. Per loro è presente un parco giochi attrezzato e un campo di calcio che consentono uno svago oltre la scuola e le numerose attività didattiche.[/caption]

Abbiamo uno strumento di accoglienza che funziona, questa è la notizia. Oltre gli scandali della gestione in emergenza, grazie alla quale improvvisati “imprenditori dell’accoglienza” si arricchiscono sulla pelle di rifugiati e richiedenti asilo. Oltre la retorica dell’invasione e dell’assedio, sbattuta da troppo tempo in prima pagina. Lo strumento c’è, si chiama Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar), e mostra ampi margini per una sua ulteriore diffusione. È questo quanto emerge dall’Atlante Sprar 2015, che mette a disposizione numerosi dati, assolutamente inaccessibili per quanto riguarda la gestione in emergenza.

Al momento meno del 20% delle persone che rientrano nel circuito dell’accoglienza è ospitata nei centri Sprar, mentre circa l’80% si trova nei centri “straordinari” di cui sopra. La quota del 20% è stata raggiunta grazie a una progressione “geometrica” negli ultimi anni: se nel 2003 i posti erano 1365, e nel 2012 erano 3979, nel 2014 erano 20752 e, nel 2015, 21613, per un totale di 430 progetti.

Ospiti SPRAR

Come potrebbe essere fisiologico in una fase iniziale, l’incidenza dei posti Sprar è maggiore nelle regioni del sud e nella regione della capitale, quelle dove si concentra il maggior numero di arrivi (il 75% delle persone accolte è arrivata via mare): 22,4% nel Lazio, 20,1% in Sicilia, 9,4% in Puglia, 8,9% in Calabria. Poi la quota scende attorno al 5% di Campania, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, fino all’1,7% del Veneto, regioni che sicuramente, se pensiamo alla quota di popolazione che vi risiede (in Lombardia, per fare un esempio, circa il 16% del totale), offrono spazio per espandere la rete Sprar e ridurre la gestione in emergenza.

Sprar e Regioni

Quando parliamo di “accoglienza diffusa” parliamo di questo, di una distribuzione omogenea sul territorio, ma anche di un sistema che favorisca il nascere di piccole strutture, in cui possa svilupparsi un contesto famigliare e la persona possa ricostruire il proprio guscio emotivo. La rete Sprar funziona esattamente così: nell’82% dei casi le strutture sono appartamenti e solo il rimanente 18% centri collettivi e comunità alloggio. Inoltre sono stati sperimentati, nel corso del 2015, percorsi di accoglienza in famiglia che, «opportunamente inseriti e raccordati nell’ambito del Sistema Sprar secondo le linee guida e gli standard che lo caratterizzano, potrebbero potenzialmente facilitare, ancor più di ogni altro intervento, i percorsi di inclusione sociale».

Sono, infatti, i percorsi di inclusione sociale ad essere centrali nell’erogazione dei servizi Sprar. Oltre all’alloggio, all’assistenza sanitaria e sociale, alla mediazione linguistica e culturale, le persone ospitate possono usufruire di percorsi di insermento scolastico, percorsi formativi e di inserimento lavorativo. Ed ecco spiegato dove vanno a finire i mitologici 35 euro a migrante al giorno: a finanziare questi servizi, quindi gli stipendi di operatori dell’accoglienza, mediatori, operatori legali, insegnanti, psicologi, educatori, operatori socio-sanitari e del personale amministrativo e dirigente. Un sistema che perciò può rivitalizzare piccole economie locali, esattamente come sta già succedendo dove da più tempo sono attivi progetti Sprar. «Siamo noi a dover ringraziare i migranti: sono loro che ci aiutano a casa nostra»: ho sentito sindaci di piccoli borghi calabresi a rischio spopolamento esprimersi con queste parole, perché grazie ai progetti Sprar giovani del territorio non sono migrati (perché si migra ancora, dall’Italia verso l’Italia e verso l’estero), ma hanno potuto rimanere dove sono nati e cresciuti, dove hanno studiato, e far valere lì il proprio capitale umano.

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