Protezione umanitaria per motivi ambientali. Il Tribunale di Bologna scrive un'ordinanza storica

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11 agosto 2016

Un’ordinanza storica può contribuire ad accendere un dibattito in Italia sul diritto d’asilo per ragioni ambientali e a cambiare la relativa normativa internazionale.

Un’Ordinanza del Tribunale di Bologna accoglie il ricorso di un cittadino pakistano, proveniente dalla regione del Punjab, riconoscendo in suo favore la protezione umanitaria. Il cittadino lasciava il proprio Paese nel 2013 dopo un’alluvione che aveva coinvolto la sua zona, distrutto la sua casa e causato la morte dei suoi familiari. Un evento traumatico, non prevedibile, legato agli effetti nefasti e sconvolgenti dei mutamenti climatici spesso indotti da un modello di sviluppo climalterante e ispirato da prerogative fagocitanti l’ambiente e i suoi equilibri. Avendo perso ogni punto di riferimento nel proprio paese e non ricevendo alcun aiuto umanitario dal governo pakistano, il giovane pakistano decideva, con l’aiuto di un amico, di intraprendere il viaggio verso l’Europa. Un viaggio difficile, pieno di insidie anche mortali. L’Europa è spesso vista come il continente del benessere, della democrazia, della sicurezza sociale e lavorativa, della ricchezza.

La Commissione Territoriale di Bologna, dopo l’intervista, rubricava i motivi che avevano indotto il richiedente a lasciare il suo Paese attinenti la sfera privata e a motivi prettamente economici. Una tesi non convincente e non allineata con le ragioni di fondo che avevo spinto il cittadino pakistano alla fuga.

La difesa sostiene infatti che la vicenda personale si inserisce nell’ambito della grande alluvione che ha colpito il Pakistan nello scorso agosto del 2013, riconoscendo un diritto alla protezione anche ai c.d.”Rifugiati climatici” o “ambientali”. Con tale espressione si allude ad una categoria di persone che non potendo continuare a vivere sul territorio loro tradizionale a causa di inondazioni, erosione del suolo, desertificazione, deforestazione e numerosi altri problemi ambientali, si trova costretta ad abbandonarlo. Si tratta di un tema a lungo dibattuto a livello internazionale sul quale Tempi Moderni insisterà molto con lezioni, seminari, saggi e ricerche. Già la coop. In Migrazione (www.inmigrazione.it) e l’università degli studi di Roma Tre, dipartimento di Scienze Politiche, hanno in varie occasioni organizzato lezioni, corsi e seminari sul tema riscuotendo apprezzamento e interesse da parte di studenti e ricercatori. In questo senso presto Tempi Moderni ospiterà una ricerca sul tema che riteniamo consentirà di chiarire alcuni suoi aspetti centrali e a spingere verso una corretta revisione della normativa internazionale verso il riconoscimento formale dei rifugiati ambientali. D’Altro canto il relativo dibattito in alcuni paesi anche europei sul tema è già avanzato, nonostante le resistenze in seno alle Nazioni Unite da parte in particolare di Stati Uniti e Russia.

Nel merito del caso in oggetto, alla difficile situazione derivata dal disastro ambientale si sommano condizioni generali di insicurezza e violazione dei diritti umani che caratterizzano il Pakistan. Sono state riportati e accertati diversi episodi di sparizioni forzate o involontarie; le forze armate e i gruppi armati continuato a perpetrare violazioni nelle zone tribali e nella provincia del Balucistan, tra cui sparizioni forzate, rapimenti, tortura e uccisioni illegali. Le forze di sicurezza hanno continuato ad agire nell’impunità e sono state accusate di diffuse violazioni dei diritti umani, tra cui arresti arbitrari, sparizioni forzate, tortura, decessi in custodia ed esecuzioni extragiudiziali; le vittime erano attivisti politici, giornalisti e sospetti membri di gruppi armati. A ciò si somma la situazione di violenza generalizzata presente nelle aree tribali, segnata da attacchi terroristici. Situazione che si è andata aggravando come già evidenziato nel commento alla sentenza del Tribunale di Napoli che riconosce la protezione sussidiaria in favore di un altro cittadino pakistano.

Tale situazione limita fortemente la libertà di scelta delle persone relativamente al luogo in cui determinare la propria vita in maniera dignitosa e sicura, essendo fortemente limitate le alternative di fuga e di ricollocamento interno. Le persone si trovano costrette ad abbandonare il proprio Paese recandosi in uno Stato diverso da quello di origine, chiedendo a questo una protezione.[1]

L’ordinanza del Tribunale valuta che la grave situazione generale del richiedente ancora irrisolta integra le ragioni di carattere umanitario di cui all’art.5 co.6 del D.lgs 1998/286. Quando ricorrono seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato […] va riconosciuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari al fine di tutelare situazioni meritevoli che tuttavia non rientrano nelle fattispecie astratte previste dalla normativa.

[1] La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa in merito alla violazione dell’art.3 Cedu in caso di rimpatrio di un richiedente asilo verso il proprio paese di origine sostenendo che “questa richiede di prendere in considerazione, nell’accertamento del rischio di violazione dell’art.3 Cedu, la capacità di un ricorrente di poter far fronte ai suoi bisogni più basilari come l’alimentazione, l’igiene e l’alloggio; la vulnerabilità ai maltrattamenti; o ancora la prospettiva di poter vedere migliorare la sua situazione in un lasso di tempo ragionevole quando le precarie situazioni umanitarie non siano attribuibili essenzialmente ad eventi naturali, quali la siccità, o alla mancanza di risorse da parte dello Stato.

Fonte: SIDIBLOG, “Migranti in fuga da situazioni di conflitto e violenza indiscriminata e Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, disponibile a questo link.

Per consultare e scaricare il PDF dell'ordinanza del Tribunale di Bologna, clicca qui

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