L’assistenza sanitaria alle persone immigrate

PhD in sociologia, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni a.p.s.. Si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata.
Condividi
18 agosto 2016

La terza introduzione della collettanea “Migranti e territori” (Ediesse editore) curata da Marco Omizzolo e Pina Sodano che presentiamo riguarda il saggio di Franco Brugnola1 dal titolo “L’assistenza sanitaria alle persone immigrate”. Un saggio importante che apre ad una riflessione spesso ai margini rispetto a quella sul lavoro dei migranti in Italia, nonostante la questione sanitaria costituisca un aspetto fondamentale nelle politiche inclusive italiane utile anche per superare condizioni inaccettabili di sfruttamento e violenza nei luoghi di lavoro e di segregazione sociale nei territori abitati dalle comunità migranti. Un welfare inclusivo e universale è il presupposto, noi riteniamo, per la formazione di una società civile e accogliente.

L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sin dal 1946 emanò una direttiva secondo cui «la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità» e chiese ai governi di adoperarsi responsabilmente, attraverso un programma di educazione alla salute, per la promozione di uno stile di vita consono allo sviluppo di condizioni pratiche in grado di garantire ai cittadini un alto livello di benessere.

In Italia il diritto alla salute si afferma pienamente a partire dal 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione italiana (artt. 2 e 32 Cost.), secondo cui oltre che interesse della collettività, è un diritto inalienabile dell’individuo, appartenente all’uomo in quanto tale, poiché deriva dall’affermazione del più universale diritto alla vita e all’integrità fisica, che lo riconosce ai cittadini e a tutti gli individui, quindi compresi i migranti. La norma costituzionale è rimasta di fatto inattuata fino al 1978 quando fu approvata la legge istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale (SSN)2, basato sul principio dell’universalità della prestazione, della sua gratuità, dell’assistenza secondo il bisogno e del finanziamento diretto da parte dello Stati, frutto di una lunga e sofferta gestazione. Nella riforma non erano indicate specificamente norme per l’assistenza agli immigrati, fenomeno all’epoca quasi inesistente, ma fu prevista solamente una delega al Governo per disciplinare la materia relativa ai contrattisti stranieri che operavano per lo più presso le Ambasciate.

La “Carta di Ottawa”, approvata nel 1986 durante la prima “Conferenza internazionale per la promozione della salute”, a sua volta ha stabilito che «grazie ad un buon livello di salute l’individuo e il gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente ed adattarvisi». In Italia allo scopo di affrontare i problemi inizialmente sorti per alcune persone presenti regolarmente in Italia (per lo più collaboratrici domestiche) furono stipulati trattati e accordi internazionali di reciprocità con alcune Nazioni (ad esempio l’Argentina, il Brasile, il Capoverde). Fino agli anni ’80 il fenomeno degli stranieri sia residenti che in possesso di permesso di soggiorno era estremamente contenuto, come si può rilevare dalle serie storiche dell’ISTAT.

1Già responsabile del Settore Programmazione sanitaria della Regione Lazio, Direttore Amministrativo di Aziende Sanitarie Locali del Lazio e degli Istituti Fisioterapici Ospitalieri di Roma (comprendenti l’IRCSS Regina Elena e l’IRCSS San Gallicano)

2L. 23 dicembre 1978, n. 833, Istituzione del servizio sanitario nazionale

Leggi anche