Il naufragio del 18 aprile 2015

Giornalista, già responsabile delle edizioni regionali e vice capo redattore della cronaca di Roma de Il Messaggero, ha approfondito i problemi dell’immigrazione.
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17 ottobre 2016

Il battello, un vecchio peschereccio lungo oltre 25 metri, arriva vuoto dall’Egitto per imbarcare centinaia di migranti vicino a Zuwara, sulla costa nord occidentale della Libia. Riprende il mare stracarico di disperati: quasi 800, tra cui 200 donne e una cinquantina di bambini. La maggior parte sono stipati sottocoperta, pare addirittura con i portelloni di accesso chiusi. Quando arriva a 130 chilometri dalla costa africana, a 205 da Malta e a 240 da Lampedusa, intorno alla mezzanotte in Italia, viene lanciato un Sos. L’allarme è raccolto a Roma dal Centro Nazionale di Soccorso della Guardia Costiera, che dirotta nella zona le navi più vicine. La prima ad arrivare è una portacontainer portoghese, la King Jacob. E’ il momento della sciagura: alla vista della nave, molti profughi cominciano ad agitarsi e a spostarsi su un lato, minando così l’assetto di galleggiamento, già estremamente precario, del barcone che, per di più, a causa di una manovra errata o addirittura dell’abbandono del timone da parte dello scafista, entra in collisione con la King Jacob. Subito dopo il battello dei profughi si ribalta e va a picco, trascinando in fondo al mare quasi 800 persone: i superstiti sono appena 28. Quarantotto le salme trovate in mare.

Il relitto viene recuperato dalla Marina Italiana, tra giugno e luglio 2016, a quasi 400 metri di profondità. Chiusi nella stiva vengono trovati 458 corpi senza vita; altri 169 sono individuati nei fondali circostanti. E’ verosimile che ci siano ancora dei dispersi.

Tratto da Diritti e Frontiere

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