Migranti stuprate in Libia, ma la Ue si preoccupa delle navi Ong di soccorso

Giornalista, già responsabile delle edizioni regionali e vice capo redattore della cronaca di Roma de Il Messaggero, ha approfondito i problemi dell’immigrazione.
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22 dicembre 2016

Il rischio di essere stuprate durante la fuga verso il Mediterraneo e l’Europa è così alto che, prima di avventurarsi in Libia dal Sudan o dal Niger, numerose migranti, per evitare una possibile, quasi certa gravidanza, si sottopongono, per almeno tre mesi, a iniezioni di forti dosi di contraccettivi. La notizia di questa massiccia “assunzione preventiva” di farmaci (spesso con pesanti conseguenze permanenti sulla salute) era filtrata a Roma, mesi fa, in alcune confidenze raccolte da medici e operatori sanitari dei centri di accoglienza della Croce Rossa. Ora è arrivata la piena conferma dall’ultimo, terribile rapporto Onu sulla situazione dei profughi in Libia, sulla base di una serie di testimonianze di donne di varie nazionalità arrivate dal Sudan.

Una prova indiretta di questo calvario è, del resto, il gran numero di giovani incinte sbarcate nell’ultimo anno in Italia, vittime quasi sempre di violenza ad opera dei trafficanti o nei centri di detenzione in cui sono finite dopo essere state intercettate in qualche posto di blocco di miliziani o della polizia libica. I loro racconti sono sempre raccapriccianti: episodi di autentica schiavitù, con i carcerieri o i trafficanti che dispongono quando, come e per tutto il tempo che vogliono delle ragazze che si sono scelti. Una ventenne eritrea, ad esempio, ha riferito che per oltre un mese una delle guardie la ha prelevata tutte le notti dal capannone-prigione dove era rinchiusa con le compagne. E Anna Lobkowicz, del Malteser di Berlino (il servizio di assistenza internazionale dell’Ordine di Malta), ha raccolto la storia di una siriana, madre di tre bambini di 11, 9 e un anno, che “è stata violentata quotidianamente dal trafficante di esseri umani davanti ai suoi figli, è arrivata in Germania al nono mese di gravidanza, ha partorito ed ha detto che quel bimbo non lo voleva tenere”.

Il dossier dell’Onu è stato reso noto negli stessi giorni in cui a Bruxelles, con la giustificazione di “evitare che il Mediterraneo si trasformi in un cimitero”, ha cominciato a concretizzarsi il programma di rimpatriare i migranti nei loro paesi direttamente dalla Libia, facendone così uno degli hub africani di concentrazione, smistamento e respingimento e impedendo gli imbarchi. Ovvero: intrappolando i rifugiati in Libia fino a che non accetteranno “volontariamente” di tornare indietro o non saranno espulsi, visto che l’ultima parola spetterà comunque alle autorità libiche. Solo che, appunto, la Libia è il “luogo dell’orrore”. Lo denunciano ormai da anni i rapporti di organizzazioni come Amnesty, Human Right Watch, Medici Senza Frontiere, Habeshia, Ora si aggiunge il report delle Nazioni Unite, pubblicato dal quotidiano Libya Herald, che parla senza mezzi termini di rapimenti, violenze, riduzione in schiavitù, torture.

“La situazione dei migranti in Libia fa emergere una crisi dei diritti umani. Il collasso del sistema di giustizia ha provocato uno stato di impunità nel quale gruppi armati, bande criminali, contrabbandieri e trafficanti controllano il flusso dei migranti attraverso il paese”, si legge nel dossier. Con la complicità, si aggiunge, di funzionari governativi: “La missione Onu in Libia (Unsmil) ha ricevuto informazioni attendibili che alcuni esponenti di istituzioni statali e alcuni funzionari locali hanno partecipato al sistema di contrabbando e traffico”. E ancora: la compravendita di migranti è una pratica abituale. Detenzione, sfruttamento, lavoro forzato per potersi pagare il viaggio. E sono le donne a pagare il prezzo più alto.

Non è credibile che Bruxelles non conosca questo rapporto e quelli, altrettanto pesanti, diffusi a più riprese dalle più prestigiose Ong. Inoltre, scacciate le milizie dell’Isis da Sirte, paradossalmente la situazione politica potrebbe precipitare fino alla guerra civile: proprio in questi giorni il generale Khalifa Aftar, “l’uomo forte” di Tobruk, capo dell’esercito nazionale in Cirenaica, sostenuto da Egitto, Arabia e Russia, nemico del Governo di Alleanza Nazionale (Gna) di Fayez Serraj insediato dall’Onu in Tripolitania, ha lanciato un proclama alle sue truppe perché si tengano pronte a marciare su Tripoli. Anzi: a “liberare Tripoli”. A giudicare dalle decisioni prese, viene quasi il sospetto, allora, che l’Unione Europea ignori volutamente la realtà, sostenendo di fatto che la Libia sarebbe un partner affidabile.

L’altro grande hub africano per l’immigrazione è stato individuato nel Niger, dal quale entra oltre l’80 per cento dei profughi che arrivano in Libia. L’accordo ufficiale è stato firmato il 15 dicembre a Bruxelles, su pressione in particolare dell’Italia, della Francia e della Germania. Il primo compito che ci si aspetta dal presidente Muhammadu Buari è che, in cambio di centinaia di milioni di euro, blocchi i “flussi in uscita” ed accolga quelli eventualmente “di ritorno” dalla Libia e dall’Europa. Anche in Niger, però, la situazione è esplosiva. Già dall’estate scorsa l’Onu ha dichiarato in gran parte del paese lo stato di crisi umanitaria, a causa del continuo aumento di profughi provocato dagli attacchi jihadisti di Boko Haram dal confine con la Nigeria e delle milizie di Al Qaeda o dell’Isis dal Mali. In giugno sono stati praticamente evacuati quasi per intero diversi villaggi e città e nel mirino sono in particolare proprio i campi dei rifugiati. “Il Sahel – ha scritto il quotidiano Liberte Algerie lo scorso 15 dicembre, il giorno stesso della firma a Bruxelles – continua a suscitare l’interesse ma anche la paura dei paesi della regione e delle grandi potenze militari che seguono da vicino gli sviluppi delle condizioni di sicurezza. Soprattutto in Mali e in Niger, dove i gruppi terroristi sembrano volersi radicare stabilmente”.

Ma tant’è: l’Unione Europea, seguendo alla lettera la politica degli accordi firmati a Malta nel novembre 2015, intende evidentemente replicare in Africa, a qualsiasi costo, il patto anti immigrazione stipulato nel marzo 2016 con Ankara, che continua ad essere applicato con estremo rigore nonostante tutto quello che sta accadendo in Turchia, a cominciare dalle migliaia di arresti seguiti al tentato colpo di stato e dalla soppressione di qualsiasi garanzia di rispetto dei diritti e delle libertà. A dettare la linea è la Commissione presieduta da Dimitris Avramopoulos, che ha chiesto anche il ripristino dei trasferimenti nell’ambito del sistema di Dublino. In particolare verso la Grecia, pur avendo riconosciuto che l’accoglienza non funziona né in terraferma, né nelle isole dell’Egeo. Non sono mancate le contestazioni. “Il piano d’azione Ue-Turchia è sconcertante – ha dichiarato Barbara Spinelli nella seduta plenaria del Parlamento europeo – E’ accertato ormai che la Turchia non è un paese sicuro. Eppure volete più rimpatri e riunificazioni familiari gestite in Turchia. Anzi, non esitate a raccomandare le deportazioni anche dei più vulnerabili. Al Governo greco si chiede persino di riscrivere le leggi nazionali che vietano simili rimpatri”.

E se è questa la situazione con la Turchia, che può essere in qualche modo più o meno “monitorata”, c’è da immaginarsi cosa ci si può aspettare in realtà africane come la Libia o il Niger, praticamente fuori controllo, sull’orlo costante di una guerra civile e per di più nel mirino di attentati e offensive terroristiche. L’Unione Europea, tuttavia, non sembra preoccuparsene più di tanto. Sembra preoccuparsi, piuttosto, delle navi delle Ong mobilitate nel Mediterraneo per cercare di salvare i profughi in fuga dalla Libia e dall’Egitto. Un documento “riservato” dell’agenzia Frontex le ha addirittura accusate di favorire i trafficanti, perché, organizzando i soccorsi poche miglia al di fuori delle acque territoriali di Tripoli, diventerebbero un incentivo per le partenze, magari anche con battelli stracarichi. “E’ un’accusa assurda: il ribaltamento della realtà – ha contestato Enrico Calamai, portavoce del Comitato Nuovi Desaparecidos – L’intervento umanitario delle Ong è l’unico attualmente possibile per tentare di salvare migliaia di vite che le politiche messe in atto da Ue e Nato costringono ad affidarsi alla criminalità organizzata. Si direbbe quasi che Frontex voglia fornire a Bruxelles una giustificazione per la serie di accordi che sta promuovendo in Africa per il controllo e il blocco dei migranti. Ma l’unica vera soluzione è quella di creare vie legali di immigrazione e il comportamento delle Ong che Frontex pare voler condannare è in verità l’unico legittimo”.

Anche Medici Senza Frontiere insiste che la Ue “non offre nessuna alternativa legale e sicura ai rifugiati e ai migranti che cercano protezione in Europa”. “Affrontare questo aspetto – specifica Jens Pagotto, capo delle missioni di ricerca e soccorso – sarebbe il miglior modo per evitare altre inutili morti in mare e per sradicare le reti dei trafficanti”. E da Ruben Neugebauer, di Sea Watch, arriva un’accusa ancora più esplicita alla politica europea: “Non ci vogliono in mare – ha denunciato a Lettera 43 – perché sanno che non solo salviamo vite umane, ma siamo anche un occhio libero e indipendente, che monitora quanto sta accadendo in Libia. Mentre alla Commissione Ue vogliono eliminare il problema immigrazione facendo in modo che i migranti restino in Libia”.

Tratto da Diritti e Frontiere

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