L’essere del diritto del lavoro per la dignità dei lavoratori

PhD in sociologia, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni a.p.s.. Si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata.
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06 gennaio 2017
Il diritto del lavoro trova spazio per la prima volta nella normativa italiana nel Codice Civile del 1865, il quale tuttavia si limita a disciplinare negli artt. 1570 e s.s. la c.d. “locazione delle opere e dei servizi”.
La regolamentazione del rapporto di lavoro in senso stretto e di tutti gli aspetti che ne determinano la concreta attuazione avviene per gradi, dapprima con interventi del legislatore in ambiti mirati (ad esempio la tutela dei riposo settimanale o il lavoro delle donne o quello minorile) sino ad arrivare ad una sistemazione organica contenuta nel Codice Civile del 1942. È solo allora che, al contratto di lavoro, viene dedicata una disciplina distinta da quella degli altri contratti in genere.
Tuttavia, il momento davvero fondamentale nell’attività di normazione è rappresentato dall’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana che, dedicando al Diritto del Lavoro sia gli artt. 1, 3 e 4 (Principi generali) che l’intero Titolo III della Parte I, la fa assurgere a materia di rango costituzionale con un conseguente orientamento di ogni attività ermeneutica e interpretativa.
Senza alcun intento di giungere ad una ricostruzione sistematica, alla luce delle menzionate disposizioni, possiamo definire il “Diritto del Lavoro” come quel “complesso di norme che disciplinano il rapporto di lavoro che tutelano oltre che l’interesse economico , anche la libertà, la dignità e la personalità del lavoratore (De Luca Tamajo).
Il rapporto di lavoro, viceversa, ha “una struttura complessa perché “accanto alle due obbligazioni fondamentali gravitano una serie di oneri e obblighi strumentali o accessori e corrispondenti pretese, potestà di preposizione e corrispondenti soggezioni, che rimanendo distinte dal debito e dal credito di lavoro e di retribuzione concorrono a formare la posizione del prestatore e del datore di lavoro (F. Santoro-Passarelli , Nozioni di diritto del lavoro, 1985, p. 189).
Ebbene, nel concreto atteggiarsi delle due posizioni, vi è tutta la peculiarità propria del Diritto del Lavoro che ne ha determinato una così preziosa ed ampia collocazione all’interno della nostra Carta Costituzionale: disciplinare i rapporti giuridici di due soggetti, lavoratore e datore, che sebbene giuridicamente posti sullo stesso piano, sostanzialmente non agiscono in regime di parità ma con una evidente posizione di soggezione in capo al prestatore di mano d’opera.
Ecco perché, sin dall’origine del Diritto del Lavoro si è voluto operare nel senso di una spiccata funzione di garanzia nei confronti del lavoratore, mediante l’emanazione di norme imperative ed inderogabili in senso peggiorativo, neppure con il consenso di entrambi le parti contrattuali.
Le profonde trasformazioni economiche degli ultimi anni, hanno determinato di fatto il superamento del tradizionale lavoro subordinato mediante la diffusione di altre tipologie contrattuali, quali il lavoro parasubordinato, lavoro associato etc, nei quali tuttavia si ravvisa in ogni caso uno squilibrio nei rapporti dei forza tra le parti contrattuali.
Ed anzi, di recente alcuni autorevoli studiosi tra i quali Giuseppe Santoro Passarelli, anche nell’analisi di forme di lavoro autonomo, evidenziano l’esistenza di una “vasta area di c.d. “lavoro autonomo debole” costituito da piccoli professionisti, piccoli artigiani, tanto più bisognosi di tutela, perché, di norma, privi di una tutela sindacale e collettiva (Cfr. “Diritto dei Lavori” di Giuseppe Santoro Passarelli, Giappichelli, terza edizione, 2008).
Ciò a ulteriore riprova del fatto che, nella disciplina del diritto del lavoro, le implicazioni sociali della materia sono assai delicate e devono essere attentamente valutate dal Legislatore, soprattutto nell’ambito dell’attività di normazione delle tutele per la “c.d. parte debole”, intesa in senso lato.
Vero è che oramai ci si è rivolti verso “un contemperamento degli interessi di chi lavora con le esigenze di produttività e di efficienza del sistema economico, posto che la soddisfazione di quest’ultime è da considerarsi, oramai, strumentalmente necessaria a quella dell’interesse sociale” (Cfr. Mattia Persiani – Giampiero Proia – introduzione a “Manuali di Scienze Giuridiche” – Padova – Cedam Ed. 2005) ed un conseguente allontanamento da quella che era la originaria funzione del diritto del lavoro, e cioè una tutela esclusiva degli interessi dei lavoratori, ritenuti in contrapposizione agli interessi dei detentori dei mezzi di produzione.
Ciononostante, ritengo ancora di estrema attualità, il pensiero di Francesco Santoro Passarelli il quale affermava: “Se tutti gli altri contratti riguardano l’avere delle parti, il contratto di lavoro riguarda ancora l’avere per l’imprenditore, ma per il lavoratore riguarda e garantisce l’essere, il bene che è condizione dell’avere e di ogni altro bene (F. Santoro Passarelli, Spirito del diritto del lavoro, in Annuali del Seminario Giuridico dell’Università di Catania, 1947 – 1948, p. 3).
Tale pensiero dovrebbe orientare l’agire del Legislatore per far sì che possano non restare disattese le aspettative sociali che ancora oggi attendono soddisfazione.

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