Solidarietà urbane e dinamiche di welfare generativo: nuove pratiche per un superamento delle diseguaglianze socio-territoriali

PhD in sociologia, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni a.p.s.. Si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata.
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08 febbraio 2017

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Articolo di Chiara Buda

Welfare a geometria variabile

Negli ultimi anni il sistema di welfare italiano è profondamente mutato a causa del processo di localizzazione delle politiche sociali. Si usa sempre più spesso l’espressione “sistemi di welfare locale” nella sua accezione plurale per indicare che sul territorio nazionale è possibile individuare una grande varietà di sistemi di welfare. Inoltre, aumenta considerevolmente il numero delle prestazioni socio-assistenziali dipendenti dalle amministrazioni urbane: si pensi, ad esempio, ai servizi di utilità collettiva come asili nido, centri di ricovero per anziani, assistenza domiciliare a soggetti non autosufficienti, servizi alla persona per l’inserimento sociale, trasporto di persone con disabilità (Mela 2006, pag. 120).

Detto altrimenti, il processo di localizzazione delle politiche sociali ha dato vita al welfare locale. Il welfare locale (o municipale) è caratterizzato sia da aspetti positivi sia da aspetti negativi. L’aspetto positivo consiste nell’aver conferito al Comune la quasi totalità delle funzioni amministrative, secondo l’idea che, in quanto ente più vicino al cittadino, sia in grado di interpretarne al meglio i bisogni e poter così rispondere in maniera adeguata alle sue esigenze. L’aspetto negativo, invece, riguarda uno dei principali rischi del processo di localizzazione delle politiche sociali, ovvero il fatto che le prestazioni offerte nei diversi contesti siano di qualità ineguale, a causa di squilibri economici esistenti tra le varie città, della diversa efficienza delle amministrazioni e del personale addetto ai servizi.

Il processo di regionalizzazione delle politiche sociali ha quindi determinato una considerevole crescita delle disuguaglianze socio-territoriali: non tutti godono allo stesso modo dei diritti sociali, sono cioè vittime di ingiustizie spaziali. Vi sono, infatti, regioni che spendono di più in termini di servizi rispetto ad altri. Emerge così un modello di welfare fortemente frammentato, in cui si distinguono sistemi di “welfare del nord” e sistemi di “welfare del sud”.

La spesa locale rapportata alla popolazione residente nelle singole regioni descrive una variabilità territoriale elevatissima. Nelle regioni italiane, si spende in media circa 91 euro per abitante per servizi sociali, ma i valori variano dai circa 300 euro del Trentino ai meno 30 in Calabria. Ne consegue che il Nord concentra il 60% della spesa, il Centro il 21% e il Sud e le isole solo il 19% (Consoli 2009, pag. 60). Inoltre, a spendere di più sono in generale le regioni con più risorse che però sono tipicamente anche quelle che hanno meno bisogno. Poi, una quota considerevole della spesa dei comuni del nord è destinata a strutture e servizi, invece i trasferimenti monetari compongono la percentuale più consistente della spesa assistenziali dei comuni del sud.

Tra i principali fattori che hanno determinato la formazione di un “welfare a geometria variabile” vanno certamente analizzati il processo di decentramento amministrativo1 e la riduzione della spesa sociale (soprattutto per quanto concerne le quote destinate all’assistenza sociale.

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