Migranti e Diritti è on line

PhD in sociologia, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni a.p.s.. Si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata.
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01 marzo 2017

È on line la prima pubblicazione di Tempi Moderni dal titolo “Migranti e Diritti” curata da Marco Omizzolo, con contributi di studiosi, ricercatori e giornalisti qualificati. Questa nuova collettanea parte dall'assunzione di un ruolo nuovo dell’Italia dentro la geografia globale delle migrazioni che comporta l’elaborazione, indispensabile, non solo di nuove politiche ma anche di analisi in grado di rappresentare nuovi bisogni, necessità e problematiche legate ai flussi migratori in entrata e di cogliere gli aspetti originali di progetti organizzati territorialmente grazie ad una positiva alleanza tra istituzioni, terzo settore qualificato e migranti stessi. Sono progetti, iniziative e percorsi che possono diventare buone pratiche esportabili, sebbene spesso trascurati dal dibattito nazionale, fondati sull’indispensabile protagonismo dei migranti e, in particolare, di coloro che vivono condizioni di fragilità sociale. Nei territori invece si possono cogliere delle importanti iniziative, a volte anche sperimentali, aventi ad oggetto progetti di emancipazione del migrante. Essi elaborano e custodiscono esperienze che possono condizionare positivamente il dibattito nazionale, contrastando la dicotomica retorica vigente e rappresentare l’occasione per restituire al migrante un legittimo protagonismo sociale, culturale ed economico.

Migranti e Diritti apre la sua riflessione con un saggio di Valentina Noviello (Migrazioni e diritti: verso la cittadinanza universale). Nel processo migratorio, afferma Noviello, le pressioni politiche ed economiche incidono in termini molto netti, in contrasto con la pienezza del diritto che comporta la pienezza di cittadinanza. Partendo da tali considerazioni, l’autrice tenta di comprendere le contraddizioni in essere tra la presente condizione e l’effettivo esercizio di una cittadinanza “inclusiva”, segnata non solo dall’appartenenza ad uno Stato-Nazione, ma orientata ad articolarsi e a coniugarsi al “plurale”, introducendo il tema della cittadinanza universale, plurale e sociale. Il secondo saggio è invece del prof. Sandro Mezzadra (What is at Stake in the Mobility of Labor? Borders, Migration, Contemporary Capitalism) ed è in lingua inglese il quale riflette sulla mobilità lavorativa nel capitalismo contemporaneo e sul significato della proliferazione dei confini nell’età globale con focus sulla regione dell’Asia-Pacifico. Le pratiche del confine e dello sconfinamento interessano una dimensione della globalizzazione ma forse anche l’agire degli operatori sociali.

Segue il saggio di Mauro Ferrari (“Vorrei ma posso”. Una proposta analitica per l’utilizzo della categoria delle “pratiche di sconfinamento” nel lavoro sociale con utenza migrante), su un insieme di pratiche quali patrimonio comune a molti operatori sociali nel loro agire quotidiano, soprattuto quando devono intervenire in contesti organizzativi più orientati a costruire procedure standardizzate e controllabili che a mostrarsi efficaci nel risolvere le questioni che vengono loro poste dai cittadini-utenti. Nello studiare le pratiche di sconfinamento, in particolare riferite agli operatori che lavorano con cittadini migranti, Ferrari individua uno spazio riflessivo che può consentire, agli operatori come alle loro organizzazioni, di riflettere sul senso del proprio lavoro e di valorizzare competenze ed esperienze già disponibili e spesso non utilizzate. Il saggio di Omizzolo (La comunità indiana in provincia di Latina tra sfruttamento lavorativo, nuova legge contro il caporalato e il ruolo essenziale dei servizi sociali: il caso del progetto Bella Farnia) riguarda la comunità indiana (punjabi) pontina che contiene una riflessione sullo sfruttamento lavorativo dei punjabi in provincia di Latina, sul sistema di tratta internazionale italo-punjabi, riduzione in schiavitù e sul caporalato con una riflessione critica sulla precedente e nuova normativa di contrasto, sino a concludere con l’analisi del progetto Bella Farnia. La riflessione su questo tema introduce, come suo corollario, il saggio di Diego Santoro (Riflessioni storico-giuridiche sull’Istituto del Patrocinio a Spese dello Stato e prospettive di riforma per una effettiva tutela dei migranti), prettamente di carattere giuridico, il quale ragiona di un istituto dal grande valore sociale quale quello del patrocinio a spese dello Stato per coloro, tra i quali i migranti, che vivono in condizioni di particolare indigenza o fragilità economica e sociale. Insieme all’introduzione a questo istituto, Santoro ragiona sulle prospettive possibili di una sua necessaria riforma per un’effettiva tutela dei migranti, generando suggerimenti per il legislatore allo scopo di renderne effettivo il ricorso. Questi processi si sommano, come nel caso del sesto saggio, di Francesco Carchedi (Le buone prassi. Tre modelli significativi di politiche di contrasto alla tratta di esseri umani a scopo di grave sfruttamento), con buone prassi contro la tratta di esseri umani. Sotto questo profilo, secondo Carchedi, le istituzioni regionali e comunali hanno maturato un’esperienza di primo piano che egli sintetizza nell’analisi di tre casi specifici. Il primo riguarda la Regione Piemonte, il secondo la Regione Toscana e il terzo invece il Comune di Venezia.

Le buone pratiche sono però anche percorsi di emancipazione dei migranti, uomini e donne, attraverso il lavoro d’impresa. È un ambito di grande interesse, analizzato dal saggio di Pina Sodano e Roberta Sorrentino (Donne migranti imprenditrici. Luci e ombre di un percorso di empowerment). Questo studio, come le stesse autrici dichiarano, analizza il ruolo che le donne migranti svolgono nel lavoro autonomo con particolare riguardo all’imprenditoria etnica in Italia. L’analisi coniuga le problematiche tipiche delle gender migrations con l’assimilazionismo imprenditoriale, ossia con quel percorso di valorizzazione della propria appartenenza etnica originaria attraverso l’imprenditoria, sino a definire quest’ultima “imprenditoria etnica” e non invece, nella trasformazione, come immaginato dall’assimilazionismo, dell’imprenditrice migrante in un’imprenditrice autoctona. Un percorso complesso, come dimostrato nel saggio, che introduce la tematica della dimensione, in Italia ancora fragile o sospesa, delle donne migranti imprenditrici. La collettanea si conclude con il saggio di Emilio Drudi e Omizzolo (Etnografia della nuova diaspora eritrea: origini, sviluppo e lotta contro la dittatura) che analizza le origini, lo sviluppo e la lotta contro la dittatura eritrea della nuova diaspora. Uno studio che completa l’analisi di una delle peggiori dittature del mondo e del suo esponente, Isaias Afewerki. Il saggio introduce una riflessione sulle considerazioni che sembrano emergere, in Europa e non solo, sul dittatore eritreo, quasi considerato il male minore. Contro questa politica e una sorta di abilitazione del dittatore Afewerki, lotta il fronte di opposizione della nuova diaspora, non di rado in contrapposizione anche con la prima diaspora, nata dalla lunghissima guerra d’indipendenza contro l’Etiopia, fino al 1991.

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