La Russia che ospita Mattarella

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12 aprile 2017
Il Presidente Sergio Mattarella è in visita in Russia. Incontra il Primo Ministro Dmitrij Medvedev e il Presidente Vladimir Putin. Non è un periodo facile per le visite internazionali di massimo livello. Incontri internazionali che saltano, o improgrammabili per motivi di ordine pubblico, per sicurezza, per lo stato pessimo delle relazioni internazionali fra stati. E la Russia è sulla lista nera: l’annessione della Crimea e le operazioni militari in Ucraina hanno reso tesi i rapporti con paesi post-sovietici che ora guardano molto più guardinghi cosa fa Mosca, ora che il tabu degli accordi sui confini dell’ex URSS è stato rotto. La questione dell’integrità territoriale e la cautela di non annettere mai un territorio confinante sono temi delicatissimi per molti stati, e non a casa per quanto si forgi di essere super-potenza, quasi nessuno ha riconosciuto l’annessione della Crimea anche fra presunti alleati e fuori da quelle che potrebbero essere aree geopolitiche che da questa annessione si sono sentite particolarmente minacciate. Così già dal 2014 la Russia è su una lista nera, è divenuta oggetto di sanzioni, alle quali ha risposto con abbondanti contro-sanzioni, e si è cacciata in un angolo dal quale non era chiaro come sarebbe potuta uscire. Le sanzioni, il crollo del prezzo del petrolio hanno inferto un duro colpo all’economia russa, e il presunto status di superpotenza, o almeno potenza regionale da cui non si può prescindere è sempre più legato a doppio filo al peso militare del paese, e alla manifesta disponibilità a fare uso della forza bellica. Mentre in teatri che precedono il 2013 e la crisi ucraina era in grado di mantenere un proprio seggio a vari tavoli di trattative in virtù del ruolo negoziale ereditato dall’Unione Sovietica o conquistato in concertazione diplomatica con vari interlocutori, ora la Russia si conquista un ruolo imprescindibile in quanto (co-)belligerante. Questo riguarda soprattutto la difficilissima negoziazione sul conflitto siriano. Si potrebbe dire molto sul perché della Russia in Siria partendo dalla geopolitica dell’Unione Sovietica. Qui basta ricordare che l’intervento russo in Siria è diventato massiccio dal settembre 2015. Dopo circa 9 000 bombardamenti nel marzo 2016 Putin annunciava un progressivo ritiro. Ma come anche prima dei bombardamenti russi erano attivi nelle fila dei combattenti – distribuiti fra le varie forze in campo, inclusi nelle fila dello Stati Islamico – così lo sono rimasti dopo il dichiarato disimpegno. Anzi, il peso della Russia come protettore di Assad è stato conquistato sul campo ed è cresciuto rispetto a quello dell’Iran e di Hezbollah, questi ultimi particolarmente importanti nel supporto all’esercito siriano negli anni 2014-2015. La Russia sostiene Assad, e Assad è in teoria in mano russa, ma in pratica nessuno è in grado di sapere cosa Assad, accolto a Mosca nel 2015, abbia promesso a tutti coloro con i quali ha contratto debiti negli ultimi 4 anni (forse nemmeno loro sanno reciprocamente), e quanto si coordini con loro. Tanto meno in che misura sia ancora in pieno controllo dello Stato Maggiore siriano, che dall’inizio del conflitto è stato attraversato dalle più svariate vicende. Ufficialmente Mosca sostiene la presidenza Assad, di fatto difficile non credere che ci sia piena consapevolezza a Mosca, nello Stato Maggiore a Damasco, a Teheran come in ogni dove, che dopo un conflitto combattuto come è stato combattuto la pacificazione sotto Assad è semplicemente impossibile. Nessun programma di smobilitazione e disarmo delle varie sigle anti-governative è anche lontanamente prospettabile senza un segno di discontinuità a Damasco. Che questo piaccia o meno… e peraltro nell’ottimistica ipotesi che il conflitto receda a livelli per cui si possa cominciare a pianificare come procedere al disarmo e al ripristino di una forma embrionale di ordine pubblico. E alla difficilissima fase di smobilitazione dei foreign fighters di cui già ora i centellinati rientri destano preoccupazione per il congiunturale protratto allarme terrorismo e la nuova ondata che una smobilitazione non coordinata e controllata potrebbe provocare. Questa sono le sfide internazionali in cui è conficcata la Russia con postura non compromissoria che la rende un partner difficilmente trattabile, arroccata sulla posizione della grande potenza, armi in pugno, in un momento in cui il fronte delle crisi si espande, lambendo dalla Libia alla Corea. E Mattarella la visita mentre a Lucca il seggio russo rimane non solo vuoto ma cancellato nel formato del G8, ormai chiaramente G7. L’amo italiano lanciato a pescare dentro un crescente isolamento, con una deriva che si acutizza man mano che il conflitto in Siria supera costantemente sé stesso in atrocità, che trapelano dalla fortezza russa sempre maggiori indiscrezioni sulle violazioni dei diritti umani (fra cui l’ultima i lager per omosessuali in Cecenia, presso una delle principali creature di Putin, Kadyrov) e di diritti politici, con i recenti arresti in occasione delle manifestazioni anti-corruzione. La fortezza russa che non è impenetrabile come quella sovietica, che ha ripescato la retorica anti-occidentale della guerra fredda, ma che ha disperatamente bisogno che dall’ occidente tornino i soldi. Le sempre ottime relazioni russo-italiane infatti oggi si giocano fra due paesi le cui dimensioni economiche si avvicinano. Non sono fra il gigante e il topolino: anzi, il PIL italiano ha superato quello russo (per vedere scheda clicca qui) e a differenza di quello russo non è in costante decrescita dal 2010 (per vedere scheda clicca qui). Non stupisce che si sia esordito negli incontri con Mattarella con la questione economica. La crisi in Russia morde duro, decresce il potere d’acquisto dei russi che – unito al deprezzamento del russo – li tiene lontani anche dalle destinazioni di vacanza, fra le quali l’Italia. Presenze dimezzate: visitavano l’Italia 770 mila russi nel 2013, e 1.2 milioni di Italiani visitavano la Russia. Numeri che non sono più stati eguagliati negli anni seguenti, come l’ interscambio economico fra i due paesi, 53,9 miliardi nel 2013, scesi a 19,8 nel 2016. L’Italia rimane ciononostante il quarto partner commerciale della Russia (dopo Germania, Paesi Bassi – per via dei traffici del porto di Rotterdam, fondamentalmente – e la Cina), e grande investitore nel paese, con circa 500 aziende italiane distribuite in varie aree e settori della Federazione. Vice versa sono una settantina le aziende russe presenti in Italia, e la Russia è al 13esimo posto come destinazione di esportazioni (per vedere scheda clicca qui) e nono come origine di beni importati (per vedere scheda clicca qui). Un esperto di Unione Sovietica descriveva l’URSS dei primi anni ’80 come un paese del terzo mondo con un esercito del primo. Forse questa descrizione non cattura pienamente la Russia di oggi, ma è certo che l’ambizione al ruolo di super-potenza non è supportato dalla crescita economica che un impegno bellico così esteso richiede, e meno dell’URSS ha un fronte di alleati al suo seguito. Il ruolo che l’Italia può svolgere in questa delicata situazione è quello di un interlocutore – europeo - che viene ascoltato e che è nella condizione di provare a esercitare pressione. Ma senza illusioni, e con massima cautela. I tempi delle pacche sulle spalle e le vacanze insieme che risolvono sono per il momento sospesi.

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