Bologninicosta: un ricostituente per il teatro

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18 aprile 2017
Cosa mette in scena oggi l’Italia? Il desolante spettacolo di un teatro che sembra aver smarrito la sua vocazione: unire chi lo fa e chi ci va, elevando umanamente e spiritualmente entrambi grazie a quel rito collettivo tra addetti ai lavori e spettatori che è la rappresentazione. Complice la crisi economica, l’infinita ripetizione degli stessi titoli e il puntare non sul talento ma sul nome acchiappabiglietti, il pubblico ormai si tiene ben lontano dal teatro più autentico: tranne rarissime occasioni, la gente che si incontra in sala è sempre la stessa. La massa dei colleghi si alterna a quella dei critici: tra loro si mescola la rarissima specie degli abbonati, quella più diffusa degli immancabili familiari e qualche amico. Pochissimi i curiosi, i giovani, la linfa vitale. La prospettiva cambia leggermente se ci si allontana dagli spazi rinomati e si va alla scoperta di realtà più piccole, indipendenti, forse più incoscienti, sicuramente meno inclini al compromesso perché quello che hanno da perdere è talmente poco - o troppo, dipende dalle prospettive - che vogliono rischiarlo. È in uno di questi luoghi di Roma, l’Abarico Teatro, che per la prima volta mi imbatto in un lavoro della giovanissima compagnia bologninicosta: “ROMEOeGIULIO”. In seguito scoprirò che non è solo la mia di prima volta: il collettivo, nato dall’incontro professionale e personale tra Sofia Bolognini (attrice, drammaturga, regista) e Dario Costa (compositore, live performer) è infatti alle prese con il debutto del suo primo spettacolo in assoluto. Rimaneggiare un materiale plurirappresentato, ultra citato, iperinflazionato come la tragedia di Shakespeare per antonomasia comporta sicuramente dei rischi: un azzardo a cui va ad aggiungersi il tema dell’omosessualità, evocato immediatamente nella variazione del titolo, proprio nei giorni in cui la discussione politica e sociale sulle unioni civili si fa più feroce. Siamo alla fine di gennaio 2016 e ci troviamo nel bel mezzo di un conflitto la cui composizione, da lì a qualche mese, porterà al cosiddetto Decreto Cirinnà. Con grande intelligenza e una propria visione già molto definita, Sofia Bolognini e i suoi attori mettono in scena l’eterno dramma dell’amore contrastato contaminandolo con i fatti di cronaca più attuali. Senza, però, mai scivolare nella retorica o nel pietismo ma, anzi, puntando sulla fisicità dei corpi in scena, la forza delle parole e la suggestione delle musiche. Un’altra cosa che mi colpisce è l’estrema giovinezza di chi ha ideato tutto questo: la regista, infatti, non arriva a 25 anni. Un simile dato anagrafico, che in molti altri ambiti sarebbe automaticamente sinonimo di freschezza, temerarietà e una certa ingenuità, nel campo teatrale significa spesso autocommiserazione per il non riuscire a realizzare i propri progetti, delega delle proprie responsabilità a un sistema non in grado di comprendere e valorizzare il talento e l’arte, prospettive apocalittiche per il futuro. In breve: un precocissimo viale del tramonto. La Bolognini, invece, pare inarrestabile: riesce a portare il suo spettacolo in giro per l’Italia e oltre, riscuotendo diversi premi al Festival Internazionale di Skopje. Con un occhio sempre puntato al sociale, questo collettivo si dimostra instancabile: a giugno 2016 dà vita al “bolognignicosta showcase” presso il Teatro Testaccio di Roma. Un occasione per ripresentare non solo “ROMEOeGIULIO” ma anche “LA CATTIVITÀ”: uno studio performativo fatto di ricerca teatrale e composizione sonora sul legame viscerale tra madre e figlia in chiave artificiale e robotica. Inoltre, se la laurea in Filosofia di Sofia Bolognini la mette in una certa condizione di familiarità con gli archetipi del mito e dell’umanità, è quella in Psicologia della Comunicazione e in Sociologia di Dario Costa che permette alla compagnia un approccio creativamente scientifico ai più diversi temi civili. Prova ne è “Le Città Invisibili”: una ricerca sociale investigativa ed esplorativa attraverso il metodo dell’intervista discorsiva, svoltasi a Marghine - un territorio in provincia di Nuoro - e tramutata successivamente in performance. Un metodo simile ha condotto alla creazione del Percorso Tematico Esplorativo “CANTIERI INCIVILI”, che vuole indagare la precarietà e la disoccupazione giovanile, soprattutto di chi lavora nello spettacolo. Sotto questo cappello sono stati ideati gli spettacoli “ANCHE L’ATTORE VA IN PARADISO”, “PARLA/MENTI – genealogia dei cervelli in fuga” e il recentissimo “ST(r)AGE”, coprodotto da Nuovo Cinema Palazzo grazie a ContraBBando - la provocatoria sfida che questo spazio lancia per superare la logica dei bandi pubblici e privati – e qui portato in scena a fine marzo 2017. Ancora una volta la compagnia bologninicosta ha la possibilità di far sentire la propria voce attraverso un approccio ragionato e originale: per l’occasione chiama in causa niente meno che Zygmunt Bauman. È proprio l’importante sociologo e filosofo, recentemente scomparso, a suggerire le categorie a cui ci si ispirerà per realizzare i protagonisti di “ST(r)AGE”: la celebrità, l’homo oeconomicus, la donna che ha paura, l’uomo senza legami, l’estraneo indesiderabile. A ciò si uniscono i risultati di 10 interviste rilasciate da chi cerca di vivere di teatro e quelli di un ulteriore focus group, appositamente realizzato: il frutto di questa fatica formerà e alimenterà i caratteri di Regista Mai Contenta/Tuttafretta, Celebrità/Timorata, Attore Cane/Fallito, Emergente/Scarto. Nasce così uno spettacolo che vuole indagare la scomparsa dell’arte nel mondo ad opera proprio degli artisti, che per una irripetibile visibilità e un lauto compenso decidono di suicidarsi contemporaneamente ponendo fine al teatro. Le vicende di 4 sopravvissuti saranno lo spunto per una feroce, a tratti imperfetta ma sempre autentica, critica non solo del sistema ma anche di chi lo subisce. Perché racconto tutto questo? Perché l’esperienza bologninicosta dovrebbe costituire un esempio, uno stimolo o un monito per tutti coloro che invece di fare si lamentano, invece di osare e sperimentare si bloccano, invece di lottare si adeguano. Smarrendo se stessi, svilendo la propria arte e rinunciando alla propria vocazione. Un po’ quello che sta accadendo al teatro in Italia.

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