Porpora. Rito sonoro per cielo e terra.

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01 giugno 2017
Ebbi la fortuna, diversi anni fa, di lasciarmi chiamare da un libro di Mariangela Gualtieri. Un testo, oggi, fra i suoi più famosi. L’anno scorso all’Angelo Mai la conferma di quella bellezza. Chi è entrato in contatto con questa poetessa sa bene quanto automaticamente ci si affezioni alla sua parola; una potenza, arricchita dall’esperienza col teatro Valdoca, ora riproposta in un nuovo spettacolo. La poetessa di Cesena si offre al pubblico del teatro India in un lasso di tempo circoscritto eppure eterno. Lei, che misura il respiro e ogni momento della voce, cattura, ferma gli attimi e nel contempo li dilata. La consegna orale della poesia, in questa nuova manifestazione artistica, viene accompagnata dal pianista e compositore Stefano Battaglia. Un sodalizio privo di difetto, un incontro perfetto. Su di un palco dalla scenografia astratta ma non confusa, un pianoforte e delle percussioni ricavate, la musica di Battaglia conduce lo spettacolo assieme alla Gualtieri. Semplice, investita della sua energia, in un vestito nero, si presenta con una statuetta poggiata sul capo, che poi tiene fra le braccia. La rappresentazione di qualche etnico totem, un feticcio, una divinità, forse, un piccolo saggio scolpito nel legno. Simbolismo e ricercatezza del dettaglio, la regia di Ronconi, che non ruba la scena all’elemento fondamentale, alla materia, la parola. Su di un piano rialzato, come su di un pulpito, Mariangela recita e rende omaggio alla poesia, alla terra, al cielo. “La terra parla in colori. / Mai tace mai tace. Mai piange. / Bisogna ascoltare”. La capacità della parola della Gualtieri adempie proprio al senso della poesia, comunica e riesce a mantenere in ascolto. Riporta delle verità minuscole e sottili, così indescrivibili. Ogni gesto fuori posto potrebbe disturbare e infrangere il sottile e denso equilibrio che la musica e le parole riescono a costruire, ma il tutto è così sapientemente studiato e dotato di una spontaneità ancestrale che fra palco e platea non esiste barriera o elemento di distacco, la magia non si infrange, la parola poetica è ipnosi che fonde i sospiri di tutti in un unico respiro, si fonde il palco, la parola della poetessa e il silenzio della sala in ascolto. La Poesia ha dei colori. Coglie le sfumature della vita nelle sue manifestazioni superficiali, profonde e sottili. La capacità dei colori è il riprendere e ridare sensazioni, rimandano, riportano richiami. Perché Porpora? “Come intendevano i greci e i latini che parlavano di mare porpora, di onde, di neve o di cigno porpora, ad indicare il punto in cui un colore è più vibrante, più scintillante e poi l’urgenza di cantare i colori accogliendoli come potenze, come forze acustiche”. Il vibrato più alto, dunque, ma composto dalla connessione con tutti gli altri echi cromatici. Lo spessore dei colori e il loro significato trovano interpretazione nelle parole di Mariangela. “Fa ponte. Ricuce il qui col non qui. (...) C’è una pace grandiosa / al centro del campo e il verde / dell’erba promette / – quello che dirai adesso / sarà vero per sempre”. “I tonfi del blu salgono da un fondo”. Dal nero nasce la luce , la positività del buio, al bianco ci si arriva per consapevolezza. Un tragitto dove il dolore non viene demonizzato. Lo squarcio e la compostezza degli opposti e anche la sua fusione. Anche il grigio ha il suo perché intenso. Sensi nascosti e palesi che indagano l’esistere, che forniscono chiavi di lettura per dire l’altrove e il qui. Spiritualità e materialità. C’è una forza nella rappresentazione, i tagli di luce e le ombre sulla figura della Gualtieri innescano una capacità ipnotica già insita nella voce, come le sue parole su carta d’altronde. La voce, quindi, mezzo per esprimere onestamente ciò che lei ha pensato in versi. Una vocazione la sua che si trasmette per tutta la sala. Il pubblico non può che assistere incantato, come un miracolo che va compiendosi. Ogni parola è seguita, non rincorsa, viaggia assieme alla musica. Generano brividi le connessioni riuscite. Perfettamente incastrate le melodie riescono a fornire un altro linguaggio, la parola rintraccia il sentire più sensibile e la musica ne conferma l’impatto. Lo spettacolo avanza e quando pare che lo scopo più intimo della vita sia stato sfiorato e svelato, il mistero permane. La meraviglia della comprensione assieme alla necessità di mantenere viva la ricerca, di non adagiarsi nell’oblio della sicurezza e del tutto reso esplicito. “Non so dunque lo scopo e se c’è scopo / nel grandioso venire a me di tutto – in dono”.

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