Intervista a Riccardo Brunetti sul nuovo spettacolo “La Flueur: il fiore proibito”.

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09 luglio 2017
Da esperimento a esperienza. Dopo “Augenblick: l'istante del possibile”, prima prova di “Immersive Theatre” in Italia, il regista Riccardo Brunetti torna in scena con “La Fleur: Il fiore proibito”, a Roma dal 5 al 16 luglio 2017 negli spazi di Controchiave di via Libetta. Un mondo misterioso dalle tinte noir ambientato nella Roma dei nostri giorni. Ci svela qualcosa il regista. “Dove inizia la morale e dove lascia spazio all’interesse? Dov’è il confine tra il bene comune e il piacere personale? Tra spavalderia e stupidità? Tra rispetto e rischio? Ciò che ti aspetta, dipende solamente da te. I petali sono dischiusi: fin dove vorrai spingerti?” Una provocante tentazione. Presentate così La fleur. Stimolare i sensi, coinvolgere totalmente e attivamente lo spettatore è d’altronde obiettivo del teatro immersivo. Come sei approdato a questa forma di teatro? Nella mia formazione con ex-collaboratori di Jerzy Grotowski sono sempre stato interessato alle possibilità del rapporto tra attore e spettatore, ma la maggior parte delle esperienze performative che esploravano modi meno convenzionali di interazione le trovavo spesso forzate e problematiche. Finché nel 2013 non mi sono avvicinato, grazie all’amico e collega Emanuele Nargi, all’Immersive Theatre a Londra. Rimasi come folgorato, anche perché all’epoca avevo la necessità di raccontare qualcosa di particolarmente complesso. La forma immersiva, con le sue caratteristiche di multisensorialità e grazie alla libertà e responsabilità riservate allo spettatore, mi è subita parsa una terra assolutamente fertile per la sperimentazione. Il fatto che, pur avendo già quasi quindici anni di vita, in Italia fosse praticamente sconosciuta, mi ha definitivamente orientato a lavorare in questa direzione. La tua istruzione poi è veramente interessante, parti da studi di psicologia che hai arricchito di diverse esperienze. Quanto e come ha influito la tua formazione nella ricerca teatrale e nella scelta di un’adesione a una formula di tipo immersivo rispetto ad un teatro dai canoni più tradizionali? Sicuramente gli studi sulla multisensorialità e sul rapporto tra sensi e rappresentazione hanno contribuito ad avvicinarmi alla forma immersiva. Ma è il ruolo del soggetto nella percezione, e quindi nella co-creazione anche dell’evento artistico, il punto nodale di raccordo tra il mio lavoro da psicologo sperimentale e le esperienze immersive. Un evento artistico, in questo senso, è sempre creato insieme da creatore e fruitore: la responsabilità dell’evento è sempre condivisa. Le esperienze immersive rendono evidente (o addirittura qualcuno sostiene che “restituiscono”) il ruolo del fruitore-partecipante in una performance. Parlando dello spettacolo invece. Da dov’è nata l’intuizione che ha dato vita poi al resto? Da due fattori principalmente. Il primo è proprio il luogo dove siamo nati e cresciuti, l’Italia – Roma – con tutte le sue peculiarità. Ad esempio il fatto che nel nostro paese la furbizia è spesso considerata un valore maggiore dell’onestà. E il fenomeno malavitoso è, purtroppo, un emblema di queste peculiarità. Volevamo affrontare un tema così delicato per noi: la portata è grande, arriva fino alle questioni morali e politiche. La seconda ispirazione viene dall’amore per il cinema noir, pulp e la tradizionale filmografia di Scorsese, Coppola e Tarantino. Una serata con l’amico e collega Adriano Saleri e un continuo confronto con Francesco Formaggi (il co-autore) hanno fatto il resto. Ispirato alla filmografia classica (Siodmak, Huston, Ray, Rosi) e ad autori come Scorsese, Coppola, Tarantino. Come hai tenuto assieme tutto ciò? Oh, quella è la parte più divertente! La forma dell’esperienza immersiva permette nella creazione una coesistenza di differenti punti di vista, differenti tagli, sottotrame multiple. È un lavoro lungo, ma assolutamente godibile. Più di venti attori per questo nuovo spettacolo. Come affronti l’aspetto formativo? Questo è abbastanza semplice, dal momento che praticamente nessuno in Italia ha l’esperienza necessaria per essere performer in un’esperienza immersiva. Quindi, cominciare a lavorare con un nuovo performer significa sempre affrontare una prima fase laboratoriale. È essenziale che i performer comprendano come il loro apporto personale, anche e soprattutto creativo, sia essenziale per il buon funzionamento dell’esperienza immersiva. Ad esempio, in “La Fleur” abbiamo un doppio cast: ogni personaggio ha più interpreti, che lavorano in repliche differenti. Ogni interprete da un taglio diverso allo stesso personaggio: questo è un processo assolutamente fruttuoso, che incoraggiamo fortemente. Il ruolo del pubblico, fondamentale a teatro, è ancora più determinante per lo spettacolo attivo. Per questa nuova esperienza si parla addirittura di divisione in spettatore standard o premium. L’esperienza premium è un modo per partecipare all’evento assolutamente unico, riservato a solo due persone per sera. Non vi nascondiamo che l’esperienza è ancora più intensa da premium… Preannunciamo qualcosa senza svelare nulla ai nostri lettori così da incuriosirli ancora un po’ o ci lasciamo totalmente coinvolgere dal mistero? Il mistero, il segreto, l’ignoto sono degli ingredienti essenziali per un’esperienza immersiva: generano la curiosità e la spinta per entrare nell’esplorazione del mondo che creiamo. Possiamo rivelare che il mondo della famiglia Andolini si espande nella realtà romana reale e virtuale… cercate informazioni su di loro su internet, su Facebook, su Youtube, sulla carta stampata, dentro e fuori i confini delle serate. Non sia mai riusciate a cogliere qualcosa che vi aiuti a scoprire nuovi aspetti di “La Fleur”. E poi basta

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