Riflessioni sulla riforma dell’art 603 bis “caporalato"

PhD in sociologia, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni a.p.s.. Si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata.
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03 settembre 2017
La legge del 29 ottobre del 2016 n 199, concernente “disposizioni in materia di contrasto di fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”, ha apportato modifiche all’articolo 603 bis del codice penale rubricato "INTERMEDIAZIONE ILLECITA E SFRUTTAMENTO DI LAVORO”. La previgente disposizione normativa aveva dato luogo a numerose difficoltà interpretative in relazione all’individuazione del soggetto punibile per la violazione penale, non essendo chiaro se tale fattispecie fosse in concreto applicabile anche al datore di lavoro, o solamente, come il tenore letterale lasciava intendere, a colui il quale concretamente operava l’attività di intermediazione, cioè al caporale. Con la nuova formulazione, la norma ripropone la previgente elencazione degli indici di sfruttamento, dall’altro introduce la punibilità per due distinte fattispecie, entrambe integrate allorquando ricorre l’elemento oggettivo dell’approfittamento dello stato di bisogno : la prima riguarda la tipica condotta di intermediazione illecita di mano d’opera compiuta dal caporale, già presente nella vecchia norma; la seconda prevede espressamente la punibilità del datore di lavoro, indipendentemente dalla sussistenza della condotta di intermediazione, allorquando in re ipsa si individua lo stato di sfruttamento lavorativo. Altra sostanziale modifica rispetto alla vecchia formulazione della norma, è l’eliminazione della dicitura “stato di necessità”. Nella formulazione attuale è rimasto solo il richiamo all’approfittamento dello stato di bisogno, che originariamente era inteso come una situazione di assoluta indigenza in capo al soggetto passivo, tali da rendergli (anche temporaneamente) impossibile il provvedere alle proprie esigenze elementari. Sul punto, è opportuno richiamare una ulteriore ed attenta lettura della Suprema Corte di Cassazione, la quale, con la nota sentenza n.14591 del 4 aprile 2014 ha affermato che per stato di bisogno va inteso “uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che pur non annientando in modo assoluto qualunque libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale”. Proprio a tal proposito vorrei evidenziare come, nel caso di braccianti agricoli stranieri, ciò che crea le condizioni tali da determinare una compromissione della libertà contrattuale è l’attuale normativa italiana in materia di immigrazione che lega prioritariamente il permesso di soggiorno al contratto di lavoro. Ciò ha indotto la maggior parte dei lavoratori stranieri ad accettare condizioni lavorative di sfruttamento, a volte anche di grave sfruttamento, solo perché necessarie all’ottenimento del titolo di soggiorno richiesto. Ritengo quindi che per un efficace contrasto al “caporalato”, bisogna sia agire per tendere all’eliminazione dei presupposti fattuali del fenomeno, sia iniziare una seria ed approfondita riflessione, estesa anche alla normativa sulla permanenza degli stranieri in Italia, finalizzata all’eliminazione dei presupposti “giuridici” dello sfruttamento.

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