Nuovi “boat people” nel Mediterraneo: i muri della Fortezza Europa non li fermano

Giornalista, già responsabile delle edizioni regionali e vice capo redattore della cronaca di Roma de Il Messaggero, ha approfondito i problemi dell’immigrazione.
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30 novembre 2017
Novemila migranti arrivati in Spagna nel 2016, oltre 22 mila negli ultimi undici mesi, sino a fine novembre. Si registra, in particolare, un aumento molto forte da quando la rotta libica è diventata più difficile, con una media di almeno 150 sbarchi al giorno, tanto che è ipotizzabile un totale di quasi 30 mila al 31 dicembre. Il triplo rispetto allo scorso anno. E’ la conferma che i muri – anche quelli più alti eretti di recente nel Mediterraneo Centrale – non fermano i flussi dell’immigrazione. L’unico vero risultato è che moltiplicano le sofferenze e le morti: non a caso quest’anno si registra finora una vittima ogni 53 sbarchi contro una ogni 68 del 2016. Per il resto, al massimo spostano i flussi da un’altra parte. Nasce da qui, insieme all’apertura di nuovi itinerari verso la Bulgaria e la Romania, la riscoperta della “via spagnola”, la rotta del Mediterraneo Occidentale dal Marocco verso l’Andalusia per mare oppure verso le enclave di Ceuta e Melilla via terra. O, ancora, la rotta verso l’arcipelago delle Canarie, partendo da porti situati sempre più a sud, lungo la costa atlantica dell’Africa, oltre il confine meridionale del Marocco e persino oltre la Mauritania. I profughi, migliaia di giovani, non si fermano neanche di fronte ai rischi più gravi. Nemmeno di fronte all’ombra della morte che li accompagna per tutto il viaggio. Perché si lasciano alle spalle crisi e condizioni di vita ancora peggiori dei pericoli a cui sanno di andare incontro durante la fuga. Perché – è questo il punto – è in realtà il loro stesso paese che li scaccia, con guerre, terrorismo, persecuzioni, carestia, fame, epidemie, miseria endemica, nessuna prospettiva di futuro. Sono tantissimi gli episodi che testimoniano come si parta e si tenti di superare le frontiere in situazioni estreme, incredibili se guardate a mente fredda di chi vive la “normalità” europea. Non solo lungo le piste del deserto o sulla rotta libica dei trafficanti, di cui i media sono costretti a occuparsi almeno quando si verifica una delle ormai sempre più frequenti stragi. Ce ne sono tanti anche nella quotidianità di cui le cronache non si occupano e lungo itinerari ritenuti meno “difficili” come, appunto, la “via spagnola”. Basta leggere i resoconti dei salvataggi nello Stretto di Gibilterra, degli sbarchi sulla costa andalusa, dei “salti” del vallo che blinda Ceuta e Melilla. Vale la pena citare, ad esempio, alcuni dei casi più significativi. Ne sono protagonisti giovani e giovanissimi: i nuovi boat people del Mediterraneo. – In tre su un “giocattolo”. 7 maggio 2017. La motovedetta spagnola Arcturus, del servizio di Salvamento Marittimo, su indicazione di un elicottero da ricognizione, l’Helimer 221, soccorre a sud di Tarifa una barca piccolissima (“Un battellino giocattolo”, si legge nel rapporto) giunta a remi fino a 4 miglia dalla costa spagnola. A bordo ci sono, stremati, tre giovani subsahariani. – In pedalò nello Stretto. 1 luglio 2017. Due ragazzi marocchini si avventurano nello stretto di Gibilterra su un pedalò, salpando da una spiaggia vicino a Tangeri e puntando, a occhio, verso la costa spagnola. Pedalano per tutta la notte. Poco dopo l’alba vengono avvistati 12 miglia a nord est della punta di Gibilterra da una nave in transito, che allerta il servizio di Salvamento Marittimo. Una motovedetta li raggiunge circa due ore dopo, portandoli in salvo nel porto di Algeciras. – Chiusi in un container. 16 ottobre 2017. Gli operai addetti alle operazioni di scarico nel porto di Algeciras scoprono 16 giovani ghanesi nascosti in un container sulla nave liberiana “Panther”, approdata alcune ore prima. Molti sono privi di conoscenza, altri appena in sé. Non ce la fanno a reggersi in piedi. Respirano a fatica e sono tutti disidratati, tanto da dover essere ricoverati in ospedale. Sono rimasti rinchiusi per giorni, l’intera durata del viaggio, senza scali intermedi, dal Ghana alla Spagna. Poco tempo ancora in quel container e sarebbero morti. – In tre su un gommoncino. 20 ottobre 2017. Remano per ore, a turno, stretti in tre su un gommoncino di due metri. E’ con la forza della disperazione che riescono ad arrivare fino a due miglia dalla costa spagnola dopo essere salpati dal Marocco. Il battello è così piccolo che sfugge all’osservazione e ai pattugliamenti all’imbocco dello stretto di Gibilterra. Vengono avvistati a ovest di Tarifa e poco dopo raggiunti dalla salvamar Arcturus, inviata dal servizio di salvamento Marittimo, che li prende a bordo. – Su una tavola da surf. 2 novembre 2017. Per aggirare il vallo di cemento e filo spinato che blinda il confine, un giovane algerino tenta di arrivare dal Marocco a Ceuta via mare, con una tavola da surf. Salpa lontano dalla linea di frontiera, da una spiaggia vicino a Tangeri, e si spinge molto al largo, in modo da sfuggire ai controlli di polizia. Durante la navigazione cade e perde la tavola, senza riuscire a recuperarla. E’ in vista di Ceuta ma ancora distante dalla riva. E’ già da ore in acqua quando viene avvistato e recuperato dalla salvamar Atria. Presenta sintomi evidenti di ipotermia. Si è salvato probabilmente grazie al fatto che, prima di partire, ha indossato una muta e si è munito di pinne. – Su una ruota di camion nella burrasca. 15 novembre 2017. Restano a lungo aggrappati alla camera d’aria di una ruota per camion usata come zattera nel mare in tempesta. Sono due ragazzi subsahariani. Erano partiti dalla costa marocchina, vicino a Tangeri, per raggiungere la Spagna, “navigando” con remi di fortuna, quando il mare non era ancora così mosso. Nelle ore successive sullo stretto si scatena una tempesta, con onde altre fino a quattro metri. Perdono i remi e non resta che avvinghiarsi con tutte le forze al pneumatico. Hanno la fortuna di essere avvistati da una nave commerciale in transito, la Blue Antares, che non riesce a intervenire per soccorrerli ma allerta il Salvamento Marittimo di Tarifa. Sono a 4,5 miglia da Capo Espartel, in Marocco, ma è la salvamar spagnola Arcturus a raggiungerli, portandoli in salvo in Andalusia. – Una piroga e un canotto di plastica. 22 novembre 2017. Si avventurano in due nelle acque dello stretto di Gibilterra su una piroga gonfiabile lunga meno di due metri. Pagaiando per ore su quel “giocattolo da spiaggia” riescono a percorrere varie miglia. Avvistati da alcune imbarcazioni in transito, vengono raggiunti e tratti in salvo da una motovedetta del servizio di salvamento quando sono al largo di Tarifa. La stessa motovedetta, poco dopo, intercetta e recupera altri tre migranti che, nel medesimo tratto di mare, stanno cercando di raggiungere la Spagna, anche loro a remi, su un canotto pneumatico di plastica, lungo circa tre metri. Tutti e cinque sono minorenni maghrebini. – Aggrappati per ore alla recinzione. 24 novembre 2017. Durante la notte si scatena l’ennesimo assalto in massa al vallo che blinda la linea di confine dell’enclave di Ceuta. Oltre 300 migranti subsahariani cercano di raggiungere e scavalcare la triplice recinzione alta sei metri. Sono quasi tutti respinti dalla polizia marocchina, mobilitata in massa anche con reparti a cavallo e con cani che vengono aizzati contro chi si avvicina alla frontiera. Solo quattro riescono ad arrivare al muro di cemento e filo spinato. Due vengono catturati subito. Gli altri passano il primo recinto e si arrampicano sul secondo, senza però riuscire a proseguire. Restano così aggrappati in cima alla rete metallica, che oscilla e provoca dolorose ferite con i rotoli lamellati posti alla sommità. Resistono per più di due ore, poi si lasciano cadere a terra nel versante spagnolo. La Guardia Civil li blocca. Arrivano agenti marocchini per prenderli in consegna. Uno si lascia portare via subito. “L’altro – scrive il quotidiano El Faro de Ceuta – si avvinghia per un estremo tentativo di resistenza alla parte bassa della rete. Ma più che con la forza delle braccia sembra voler resistere con lo sguardo intenso che rivolge agli agenti spagnoli, quasi a chiedere aiuto”. Ma anche lui è trascinato via verso il Marocco. – Alle Canarie partendo da Senegal e Guinea. 24 novembre 2017. Cinque giorni di ricerche per un cayuco da pesca disperso nell’Atlantico mentre fa rotta verso le isole Canarie. L’allarme scatta il giorno 20 quando i parenti di alcuni dei migranti che sono a bordo si rivolgono a una Ong per segnalare che hanno perso ogni contatto con la barca. Le ricerche vengono coordinate dal Salvamento Marittimo. Nella tarda mattinata del giorno 24 un aereo da ricognizione avvista finalmente il battello e dalle Canarie partono le navi di soccorso. Si scopre così che sul cayuco si sono imbarcati 117 migranti e che sono partiti da una spiaggia del Senegal o addirittura dalla Guinea, affrontando una rotta di centinaia di miglia nell’Atlantico. E le Associazioni Africane delle Canarie, ricordando che un altro cayuco con quasi cento migranti è approdato nei giorni precedenti a Cadice, segnalano che si sta aprendo una nuova rotta, con basi di partenza molto più a sud del Marocco e della Mauritania. Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha detto, durante la recente visita in Tunisia, che si profila la possibilità concreta di aprire degli hotspot in Libia e più in generale in Africa, dove rimandare i migranti ai quali l’Italia e la Ue non concedono il diritto di restare. Centri del genere, aperti sotto l’egida dell’Unhcr, in realtà già ci sono in Africa. In Sudan, ad esempio. O in Uganda. Ma è una soluzione che si è rivelata fallimentare. Anzi, in alcuni casi questi centri sono diventati terreno di caccia per i trafficanti, spesso con la complicità e la copertura della stessa polizia che dovrebbe proteggere i rifugiati. Ma, al di là di questo – al di là, cioè, di come e di chi dovrà garantire sicurezza e condizioni dignitose di vita in questi hotspot – c’è da chiedersi se davvero si crede che giovani pronti a sfidare il mare aggrappati a una camera d’aria da camion, per raggiungere l’Europa, possano accettare di essere rimandati indietro e di restare poi in quei campi, in attesa di un rimpatrio forzato. Se davvero si crede, cioè, che quei giovani possano rassegnarsi al fatto che l’indifferenza e la prepotenza della Fortezza Europa vogliono fermare la loro fuga per la vita.

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