Malaccoglienza e sfruttamento lavorativo nelle campagne italiane. Due facce della stessa medaglia (tratto da articolo21.org).

PhD in sociologia conseguito presso l’Università degli Studi di Roma Tre e arabista, è docente a contratto di sociologia delle migrazioni islamiche in Europa.
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23 dicembre 2017
È in corso una saldatura sempre più forte tra il sistema dello sfruttamento di lavoratori e lavoratrici nelle campagne italiane con le peggiori esperienze del sistema di accoglienza nazionale, soprattutto primario, rafforzando così agromafie, tratta internazionale e, più in generale, il complesso di illegalità di sistema del Paese. Potrebbe essere sintetizzata così la conferenza stampa tenuta alla Camera dei Deputati il 19 dicembre scorso alla quale hanno partecipato Marco Omizzolo, responsabile scientifico della cooperativa In Migrazione e sociologo, Simone Andreotti, presidente di In Migrazione, Gurmukh Singh, capo della Comunità Indiana del Lazio, Stefano Catone e l’On. Civati di Possibile. Una conferenza stampa partecipata, con giornalisti, ricercatori, sindacalisti della Flai Cgil, esponenti di LegaCoop Lazio e Coldiretti, insieme ad una folta rappresentanza di braccianti indiani che per la prima volta sono passati dalle serre, dove spesso sono costretti a lavorare anche 14 ore al giorno sotto caporale e nell’interesse superiore del padrone italiano per appena 3,50 euro l’ora, al cuore delle istituzioni del Paese (http://www.tempi-moderni.net/2016/09/26/lo-schiavismo-nascosto-agli-occhi-dei-consumatori/). La loro presenza è stata il colpo di scena più forte ed emotivamente coinvolgente dell’iniziativa. Sono stati il cambio di prospettiva e non solo testimonianza, segno di un cambiamento possibile, non anti politica ma politica piena, rappresentazione di interessi legittimi e rivendicazione di diritti fondamentali. Sono ormai molti gli studiosi e magistrati che riconoscono lo sfruttamento lavorativo, la tratta internazionale, il caporalato come una mafia capace di stritolare diritti e restituire profitti illeciti per imprenditori collusi o affiliati con clan oppure, e probabilmente ancora peggio, distanti rispetto alle prassi di affiliazione mafiosa e però in grado di replicarne modalità organizzative, relazionali e modalità operative ricattatorie, violente o corruttive. Tutte le relazioni sono state approfondite e calate nel merito dei problemi sollevati. Gurmukh Singh ha denunciato, ad esempio, il persistere di condizioni di grave sfruttamento di suoi connazionali in provincia di Latina nonostante l’importante sciopero del 18 aprile del 2016 organizzato proprio dalla Comunità Indiana del Lazio con la Flai Cgil e In Migrazione in cui oltre 4mila braccianti decisero di chiedere pubblicamente il rispetto dei loro diritti e del relativo contratto di lavoro. Gurmukh ha anche chiesto di intervenire su tutti quei lavoratori che entrano regolarmente nel Paese ma che a causa proprio dello sfruttamento lavorativo e del persistere della Bossi-Fini, con la sua spirale di contraddizioni e vessazioni, finiscono col non riuscire a rinnovare il permesso di soggiorno precipitando, quindi, in condizioni di ulteriore marginalità, fragilità e ricattabilità. Uomini e donne che a volte cadono vittima di depressione e che sono arrivati, come ha ricordato Gurmukh, anche a suicidarsi. Importante è stato inoltre il passaggio in cui ha ricordato che nelle campagne molti indiani sono stati sostituiti per interesse e volontà del datore di lavoro con richiedenti asilo impiegati anche loro come braccianti e gravemente sfruttati. Li ha chiamati fratelli e ricordato che il problema è ancora una volta il vertice e non chi viene sfruttato. La cosa peggiore, infatti, è generare una competizione tra lavoratori di origine diversa dimenticando o trascurando gli interessi del datore di lavoro-sfruttatore. L’analisi di Andreotti ha invece ricordato le fragilità e le contraddizioni del sistema di accoglienza italiano e l’importanza che ricopre l’investire in bandi e capitolati ben scritti, in un’accoglienza fondata su piccoli numeri, sulla qualità e la formazione dei diversi operatori (sociali e legali) che operano al loro interno. Di certo, come ha ricordato il presidente di In Migrazione, senza una prima accoglienza di qualità anche la seconda accoglienza diventa difficile e tendente alla non inclusione. Un tema centrale per comprendere le riforme necessarie da realizzare nel rispetto delle norme internazionali e secondo una visione strategica e non conflittuale o strumentale delle migrazioni e del Paese. Omizzolo ha saldato le due relazioni facendo il caso concreto di un centro di prima accoglienza in provincia di Latina che è diventato luogo di malaccoglienza e reclutamento di nuovi lavoratori, tutti richiedenti asilo spesso sub sahariani, da parte di caporali e sfruttatori che li reclutano per lavorare nelle campagne circostanti per appena 10 o 20 euro al giorno. Sono persone che hanno diritto ad un’accoglienza includente, protettiva, formativa e responsabile e non invece a diventare braccia utili da usare nella raccolta di cocomeri, ravanelli o pomodori sotto il caporale e il padrone di turno. Il caso analizzato risulta, secondo Omizzolo, ancora più grave dei vari già emersi in molte aree del Paese in ragione del fatto che il consorzio che lo gestisce risulta in amministrazione giudiziaria. Amministratore che dovrebbe curare e perseguire gli interessi pubblici e, dunque, della collettività ma che evidentemente svolge con distrazione il proprio lavoro, lasciando che operatori inadeguati trasformino gli ospiti in braccianti da sfruttare e la struttura d’accoglienza in un grande ufficio di collocamento per caporali e padroni italiani. Sarebbe interessante comprendere, ad esempio, le ragioni per cui a questo consorzio non è stata data l’interdittiva ma concesso di persistere nella sua attività. È stato raccontato, ancora da Omizzolo, riprendendo alcune testimonianze raccolte e già segnalate alle forze dell’ordine, che molti ospiti, nonostante il bando prevedesse ben altra gestione e obblighi, per settimane sono stati senza acqua corrente, non hanno mai avuto una lavatrice, addirittura erano costretti a prendere biciclette o autobus e rivolgersi ad altre strutture per partecipare a corsi di italiano, invece fondamentali per una corretta inclusione, peraltro pagando 20 euro ognuno. Sfruttati nelle campagne, dunque, e sfruttati in alcuni centri di prima accoglienza. Vittime di un Paese che usa alcune persone, e soprattutto i più fragili, come merce di scambio nelle relazioni e rapporti di lavoro. Un consorzio coinvolto nel processo “Mondo di mezzo” e che continua a gestire, come è stato evidenziato da due inchieste dell’Espresso (Floriana Bulfon) e Avvenire (Toni Mira) uno dei settori più fragili e delicati dell’accoglienza, la vita di circa 80 persone (oggi ridotte a 40) e denaro pubblico. In questo modo si rischia di aggiungere sfruttati a sfruttati e non di contrastare efficacemente mafie, sfruttamento e tratta internazionale. Se, come ha rilevato l’Osservatorio Placido Rizzotto con il dossier Agromafie e caporalato, sono circa 450 mila le persone sfruttate in Italia e vittime di disagio abitativo e se, secondo lo studio Agromafie di Eurispes e Coldiretti, il relativo business ormai ammonta a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30% nell’ultimo anno, consentire l’unione del nostro sistema di accoglienza, soprattutto nelle sue esperienze peggiori, con quello dello sfruttamento e del caporalato nelle campagne, come evidente già con il Cara di Mineo, di Crotone e alcuni Cas a Cosenza e altrove, significa condannare uomini e donne allo sfruttamento, fare un favore a mafie, caporali e sfruttatori, generare violenze e concorrenza sleale nei riguardi delle aziende oneste. La legge 199 contro il caporalato, frutto di un importante lavoro condotto dalla Commissione Antimafia e in particolare dall’On. Mattiello, peraltro presente alla conferenza stampa, rischia di cogliere solo alcuni aspetti del fenomeno, senza riuscire ad intervenire sulle dinamiche generative dello sfruttamento che comprendono le norme che regolano il mercato del lavoro, dell’accoglienza, della Grande Distribuzione e le politiche estere in merito alle quali, come Paese, come ricordato da Catone di Possibile, abbiamo enormi responsabilità. Riflettere sulla politica estera in materia di immigrazione, avanzata dall’Italia e dall’Unione europea, è urgente e necessario per avere un chiaro quadro d’insieme (http://www.tempi-moderni.net/2017/12/20/migranti-il-blocco-in-libia-moltiplica-arrivi-e-morti-sulla-rotta-spagnola/). Alle mafie è bene non fare favori, non portare davanti l’uscio delle loro aziende, nuova manodopera da sfruttare, soprattutto se migrante e titolare di diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra e dalla Costituzione italiana. La conferenza stampa è stata dunque una bella occasione, e di questo va dato atto a Civati e a Possibile che da anni si impegnano in modo chiaro, per approfondire temi e questioni che troppo spesso restano circoscritti in ambiti specialistici quando invece essi richiamo la natura intima del mercato del lavoro per come è stato organizzato nel corso degli ultimi decenni. Un’inversione di tendenza è necessaria perché mafie e sfruttamento, malaccoglienza e caporalato di certo non ci aiuteranno ad uscire dalla crisi, a restare un Paese civile o a difendere lo Stato di diritto. Qui il link alla conferenza stampa: http://webtv.camera.it/evento/12450

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