Relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia (XVII legislatura).

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23 febbraio 2018
La Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (XVII LEGISLATURA Doc. XXIII n. 38) ha presentato la sua relazione conclusiva (relatrice: On. Rosy Bindi), approvata dalla Commissione nella seduta del 7 febbraio 2018. Si tratta di un lavoro corposo e dettagliato che può essere scaricato da questo sito cliccando qui. La Commissione, come dichiarato già nella sua premessa, ha voluto indagare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose nel tessuto istituzionale e sociale del Paese in tutta la sua complessità, secondo le tradizionali modalità del lavoro d’inchiesta: le sedute della Commissione plenaria, le sedute dei quindici comitati di lavoro e le missioni, la prima delle quali è stata a Palermo. Un lavoro accurato che non può che essere inteso, anche per la forza di alcuni suoi passaggi, quale percorso da approfondire e da seguire dalla prossima legislatura parlamentare. Si sono esplorati capitoli particolarmente importanti: dall’attualizzazione del fenomeno, superando oramai interpretazioni vetuste delle mafie e comprendendo in questo processo anche le mafie romane e pontine. Queste ultime, infatti, benché non siano espressione di organizzazioni mafiose autoctone e strutturatesi secondo una progettualità criminale storica, hanno saputo insediarsi, radicarsi e agire secondo modalità loro proprie, spesso in accordo con alcuni soggetti istituzionali e imprenditoriali, sino a condizionare l’azione politica locale, la relativa economia e imprenditoria. Un’azione che ha previsto anche lo scontro militare e l’intimidazione nei confronti di esponenti istituzionali e giornalisti che si opponevano alla loro azione di conquista e radicamento. La citazione, ad esempio, del caso dell’On. Maietta, esponente di Fratelli d’Italia, risulta particolarmente significativo: "Nel capoluogo (Latina, ndr) - è scritto nella relazione - è stata segnalata la presenza di gruppi rom italiani come il clan Ciarelli - Di Silvio, imparentati con la potente famiglia Casamonica, principalmente dediti al compimento di delitti come l’estorsione, l’usura e il commercio di stupefacenti. Le indagini hanno fatto emergere, peraltro, anche i rapporti tra esponenti apicali della malavita organizzata di Latina e il presidente pro tempore dell’US Latina Calcio, Pasquale Maietta, eletto alla Camera dei deputati. Si trattava sia di inchieste volte al contrasto della criminalità organizzata, sia di indagini che disvelavano gravi delitti nel contesto della pubblica amministrazione. Un caso questo, che ha visto, quale prima denuncia, proprio un articolo di inchiesta pubblicato sul quotidiano Il Manifesto dal titolo “Gli affari in nero del Latina calcio”. Altrettanto rilevante è il costante riferimento al caporalato quale espressione, anche in questo caso, di un’azione mafiosa che risponde ad interessi economici rilevanti che intrecciano, in un percorso sempre più intimo, il formale e l’informale, strette da un anello di congiunzione che coinvolge settori istituzionali e economici fondamentali. Il fenomeno del caporalato, come quello della tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo, infatti, esprime anche l’agire coordinato e concordato, tra criminalità straniera e mafie italiane, la cui relazione, sebbene di subordinazione delle prime alle seconde, risulta anche “pedagogica” al punto da delegare alcuni aspetti dello stesso in via quasi esclusiva alle varie mafie straniere. Tra queste risultano quelle russe, cinesi, del sub continente indiano, nigeriane, le quali hanno saputo ritagliarsi settori di loro interesse all’interno del più ampio e vasto universo mafioso tradizionale. Secondo l’On. Davide Mattiello, già membro della stessa Commissione e protagonista di importanti azioni politiche volte non solo a migliorare l’azione di contrasto al fenomeno mafioso ma anche ad aggiornarne la “fattispecie” allargando il campo della sua applicazione a fenomeni nuovi come il caporalato, afferma che “la relazione finale della Commissione Antimafia mette in luce la forza eversiva della evoluzione delle organizzazioni mafiose che può essere descritta attraverso quattro caratteristiche. La corruzione sistemica come modalità preferita per entrare in rapporto con imprenditoria e pubblica amministrazione. La dimensione internazionale tanto delle attività illecite (ancora e soprattuto droga), quanto di quelle che permettono gli investimenti nella economia legale (riciclaggio). I professionisti altolocati (commercialisti, finanzieri, notai, avvocati, medici&hellip come principali alleati, funzionali ad un sistema criminale che pretende competenze sofisticate. La segretezza di associazioni sostanzialmente clientelari e dedite a loro volta alla corruzione sistemica, che diventano interlocutrici naturali delle organizzazioni mafiosi, generando anche situazioni di osmosi. Queste caratteristiche devono persuaderci una volta di più dell’importanza di scelte investigativo-giudiziarie nel senso della centralizzazione, della specializzazione, anche sul livello europeo, e del rafforzamento culturale e operativo sul terreno del digitale, vero e proprio nuovo “continente” che per ora pare essere stato colonizzato più dai delinquenti che dalle forze democratiche”. Una dichiarazione che traccia alcuni punti nodali del tema e che lascia come testimone alla commissione che verrà, auspicando che essa continui il lavoro di inchiesta e ricerca, che incontri ancora più i territori più esposti al fenomeno e che spinga autorità istituzionali e non solo ad agire nella direzione del rispetto assoluto della legalità e nel contrasto ad ogni forma di violenza, minaccia e ingiustizia sociale. XXIII n38

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