L’impunità sta alla mafia come la pubblicità sta al commercio.

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27 aprile 2018

L’impunità sta alla mafia come la pubblicità sta al commercio. Chi compose il testo dell’art. 416 bis del Codice Penale aveva ben presente questo punto, tanto che nello sforzo di descrivere l’essenza della mafia parlò di “forza di intimidazione” del vincolo associativo, che genera assoggettamento e omertà. La “forza di intimidazione” si è manifestata per decenni nella capacità di manipolare il corso della giustizia, deviando o impedendo le indagini, facendo saltare i processi, modificandone gli esiti piegando i vari gradi di giudizio (ecco perché una condanna in primo grado non fa mai Primavera!).

Fino alla sentenza definitiva di condanna dei capi della cupola di Cosa Nostra arrivata il 30 Gennaio del 1992, frutto del così detto “maxi processo” di Palermo e costata prima e dopo un prezzo altissimo in vite umane, la norma era appunto l’impunità. Ad ogni archiviazione, ad ogni assoluzione il potere di intimidazione della mafia aumentava, perché veniva certificata la sua capacità di infiltrazione dentro le Istituzioni. Cosa può terrorizzare di più “l’inerme cittadino”, della percezione che lo Stato sia anche mafioso? Come si può avere fiducia nelle Istituzioni? Come può il cittadino prendere il coraggio a due mani e decidere di denunciare, di fare nomi e cognomi? Certo qualcuno lo ha fatto, in anni in cui in certi territori veniva persino negata l’esistenza della mafia, anni in cui il consiglio di maggior buon senso che si riceveva in certe caserme era quello di lasciar perdere e di pensare al bene della famiglia. Queste persone, spesso divenute Testimoni di Giustizia inserite in programmi speciali di protezione a causa dell’elevatissimo grado di pericolo cui si erano esposte, hanno scontato come pochi altri sulla propria pelle il peso della impunità dei mafiosi e sono state per molti anni delle mosche bianche, emarginate e maltrattate.

Rompere l’impunità, fare in modo che i delinquenti paghino il giusto, così come l’aggressione efficiente ai patrimoni e il regime carcerario del 41 bis, sgretola davvero la forza della mafia.

Per questo motivo lavorare per asciugare ogni pozzanghera di impunità, significa lavorare per sconfiggere la mafia e non soltanto per contrastarla, magari con l’ignobile riserva mentale che batterla una volta per tutte non soltanto non sia possibile, ma che non sia nemmeno auspicabile.

Così arriviamo agli Emirati Arabi Uniti.

Per anni gli Emirati Arabi Uniti ed in particolare Dubai, hanno rappresentato un porto franco per molti italiani, indagati e imputati attinti da misure cautelari o condannati in via definitiva per ogni genere di reato. Ad oggi è ancora così purtroppo.

Le cose, però, adesso possono cambiare, ammesso che il Parlamento italiano ratifichi finalmente l’accordo di estradizione e cooperazione giudiziaria con il Paese emiratino.

Il Ministro della Giustizia Andrea Orlando era volato ad Abu Dhabi già nel settembre del 2015 per firmare l’accordo che, tuttavia, è rimasto arenato a lungo prima di essere approvato dal Consiglio dei Ministri perché il principio generale che vieta all’Italia di estradare chi, tornando nel Paese di origine rischi la pena di morte, è stato rivisitato da norme europee entrate in vigore nell’agosto del 2016, che ne hanno preteso una formalizzazione ancora più stringente, rendendo così inadeguata quella adoperata nel testo sottoscritto dalle parti nel 2015. Ostacolo superato solo allo scadere della XVII Legislatura, attraverso lo scambio di lettere diplomatiche allegate ufficialmente al testo dell’accordo, con le quali sono state soddisfatte le esigenze imposte dalle norme europee, prevedendo l’obbligo in capo alle Autorità emiratine di commutare in pena detentiva la pena di morte comminata al ricercato di cui si chieda l’estradizione all’Italia. Il che ha consentito al Consiglio dei Ministri il 22 febbraio 2018, di licenziare il trattato, che però per diventare operativo deve essere ratificato dal Parlamento.

Oggi siamo quindi a un passo dalla ratifica finale da parte delle due Camere, che renderà efficace il trattato e permetterà all’Italia di reclamare e riportare in patria diversi latitanti. Le cronache raccontano di condannati in via definitiva per reati di mafia, narcotraffico, riciclaggio, corruzione e frode fiscale, reati gravi che mi hanno indotto per tutta la durata della XVII Legislatura a chiedere insistentemente l’approvazione del trattato. Il testimone è passato, nella XVIII Legislatura, all’onorevole Walter Verini, il quale l’11 aprile ha depositato in Parlamento una proposta di legge di ratifica ed esecuzione del Trattato di estradizione e del Trattato di mutua assistenza giudiziaria in materia penale tra l’Italia e gli Emirati Arabi Uniti.

Ha dichiarato l’on. Verini: “Queste misure sono importanti non solo per le loro ripercussioni dirette, ma anche come elemento di deterrenza. Le Mafie infatti si muovono su scala internazionale e gli Emirati Arabi rappresentano un porto franco per molti criminali legati a vario titolo alle organizzazioni mafiose. Mettere un freno a questa situazione di impunità è quindi un colpo diretto Anche alle Mafie”.

Il nuovo Parlamento ha quindi una occasione limpida per far capire quali priorità stiano nella agenda politica delle forze che hanno la maggioranza dei voti. Credo valga la pena monitorare con attenzione e fare quel che è possibile per sollecitare il Parlamento.

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