DUEPENELOPEULISSE, non c’è l’uno senza il due.

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20 maggio 2018
Che cosa accade se si affrontano due personaggi come Ulisse e Penelope, l’epica coppia che ha dovuto affrontare numerosi ostacoli, e li si riscopre concentrandosi sulla loro entità di individui impegnati in una relazione? Succede che una delle coppie simbolo della letteratura mondiale, per il famoso ritorno di lui e l’attesa di lei, viene messa in luce su un piano più concreto, reale, possibile. La vicenda del ritorno a casa di Ulisse e ciò che lo attende assume, così, contorni vicini e molto più identificabili con quelle che sono le nostre relazioni interpersonali, distaccata dal velo del mito che fa comprendere e riflettere, mantenendo però sempre un alone di lontano, imprendibile, leggendario. Situazioni e avvenimenti che possono essere sinonimo della vita e degli atteggiamenti dell’uomo, ma comunque con esso non interagiscono appieno, come avviene invece nello spettacolo di Pino Carbone, andato in scena in uno degli spazi più attivi e attenti alla qualità del territorio romano, ovvero Carrozzerie n.o.t. Qui Penelope e Ulisse, rispettivamente Anna Carla Broegg e Giandomenico Cupaiuolo, sono infinitamente terreni, nel senso di umani, nelle loro problematiche che il regista affronta in maniera ironica e a tratti grottesca. Collocati in un ring pieno di palloncini blu, che rimandano al mare, i due vengono confinati in questo quadrato stretto, luogo decisivo dal quale non si scappa, il luogo dove Penelope è rimasta, da dove Ulisse invece è andato via e continua ad uscire e entrare fra uno stacchetto e l’altro. Momenti che rendono ancora più evidente il contrasto fra una personalità irriverente, sicura e scaltra e una infuriata, determinata a riscattarsi, offesa. I due discorrono, dunque, attorno a un tavolo, l’uno di fronte all’altro (chiaro il riferimento alla performance di Marina Abramović: The Artist is Present diventato emblema del confronto) e le questioni che emergono comunicano direttamente con la voce esterna del regista, visibile e collocato frontalmente alla scena, proprio come nella realizzazione dell’atto creativo, impegnato nella direzione dei due, come un deus ex machina contemporaneo. L’originalità delle scelte registiche si intravedono non solo nell’efficace modo di far emergere la tematica relazionale all’interno della scenografia minimale e significativa, ma anche dalla capacità di adattare il testo omerico al dialogo, che diviene prova e manuale di accusa per Penelope e di giustificazione per Ulisse, con gli attori immedesimati e brillanti che riescono a innescare un coinvolgimento diretto col pubblico attraverso i vari momenti alternati, dove anche il canto viene coinvolto. La relazione dunque, ma anche il riscatto al centro dell’intento. Penelope qui è considerata da un’altra prospettiva, non è “quella che è rimasta in attesa fino ad ora. La donna che ti ama. L’unica che può dirti: “Come mai ci hai messo tanto?”, non riprende l’immagine dei bellissimi versi di Carver, ma ricorda ad Ulisse che sua è la gloria e il poema, e lei, rilegata a ruolo minore non può ingiustamente passare così alla storia, come la donna in attesa, fedele al suo dovere di moglie, la donna che ha amato e aspettato, certo, ma che ha dovuto tener testa ai Proci invadenti, che ha dovuto anche lei come il caro compagno girovago inventarsi metodi scaltri per aggirare situazioni. Ulisse sarà pure entrato a Troia grazie al cavallo, ma Penelope intanto filava e sfilava una tela, Penelope ha cresciuto un figlio, Penelope mentre si scriveva l’Odissea riempiva le sue notti con parole e pensieri che forse mai nessuno leggerà. Il concetto di autodeterminazione, di forza e resistenza, il ritratto di donna emancipata che rivendica e ne vien fuori è momento alto dello spettacolo e si intreccia alla riflessione sull’incomunicabilità, la difficoltà, il tema eterno dell’incomprensione, della mancanza, dell’assenza, dell’assenza anche quando si è presenti, vicini, seduti di fronte e non si colma. C’è tutto in questo spettacolo definito proprio come “studio sulla relazione”, tutte le tematiche su cui si è battuta la psicoanalisi moderna, su cui sono nati romanzi e poesie ispirate dalla contraddizione, la sofferenza e la bellezza di ciò che è materia d’amore, tutto in un’ora ben concentrata, dove il tempo narrativo è sincronico e non lascia spazio a momenti di noia. Si tocca tutto comprese le avventure extraconiugali, il concetto di tradimento e ciò che provoca se scoperto. Tanti spiragli aperti di riflessione, dunque, in una rilettura di una delle opere eterne, una chiave di interpretazione originale, che si può inscrivere nei processi di riscoperta del mito, come formula d’indagine, riflessione sulla società contemporanea e la sua complessa varietà. Come il finale accelerato, convulso, di risoluzione fisica, dove si potrebbero aprire parentesi diverse e ampie, i giochi di potere e di dominio, che non sono mai stabili, che possono alternarsi, che ci ricordano come la storia si può sempre ribaltare perché precaria, lo scambio di identità. Sintetizzando: tutte le articolate dinamiche delle relazioni che, come il teatro, nella loro complessità possono essere riconosciute e far sorridere, ma sanno anche far soffrire.

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