Crisalide festival, venticinque anni di impegno artistico. Intervista a Lorenzo Bazzocchi

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03 settembre 2018
Un festival che ha raggiunto i venticinque anni è una piacevole conferma in un clima che spesso fatica a resistere. Una proposta artistica che conferma la sua linea, sviluppandola in un movimento e in un processo attento alla trasformazione, come una crisalide, appunto. Variegato e concentrato sulla qualità, il festival parla con più linguaggi e con Lorenzo Bazzocchi approfondiamo questa nuova edizione. Arrivati al venticinquesimo anno, Crisalide Festival è ormai una realtà consolidata. Facciamo un bilancio di questi anni di attività, da quando è nato ad oggi quali elementi di cambiamento e novità? Uscire dal teatro per potervi ritornare fortificati: questo è il mantra di Crisalide, la costante a cui riferirsi per comprendere il perché di tante scelte. Crisalide si rivolge al teatro ma, da sempre, la ricerca di nuovi orizzonti ha indirizzato il Festival verso la danza e la musica, per poi toccare la scienza e, negli ultimi anni, la filosofia. Far crescere il Festival ha significato all’inizio e significa ancora oggi, nello stesso modo, andare più a fondo nel rapporto tra l’artista e l’investimento delle proprie risorse in un ambito progettuale e organizzativo che per essere considerato proprio richiede di essere esperito in tutti i suoi aspetti. Dal 1994 ad oggi il Festival ha cercato costantemente questo, promuovendo la riflessione e lo scambio tra generazioni artistiche e favorendo la visibilità di giovani formazioni sia in ambito nazionale sia internazionale. In questo modo Crisalide si è imposto negli anni come luogo di riflessione e di pratiche sceniche, distinguendosi nel panorama nazionale come propulsore di istanze assolutamente originali. Già dal 1996 il Festival supera la forma della vetrina, maturando nei concetti di “imbattersi fortuito” e di “avamposto” i termini di una ricerca che esplori dal proprio interno le questioni legate alla prassi teatrale e al fare artistico: lo spettacolo come risultato di una processualità che assume i contorni del “farsi vivente”. Fu così che nell’edizione del 1997 Crisalide si diede un titolo/tema e cercò in alcune compagnie coeve dei partner per dar vita ad un progetto complesso che vide lo svolgersi di un seminario condotto dal regista belga Thierry Salmon, coadiuvato dai suoi collaboratori Renata Molinari, Enrico Bagnoli e Patricia Saive. A quelle quattro giornate, intense per ardore e desiderio di mettere a confronto le reciproche esperienze, parteciparono otto giovani compagnie di quella che fu poi chiamata la generazione degli anni ’90. Dalla collaborazione tra Crisalide e i filosofi Carlo Sini e Rocco Ronchi nasce, nel 2014, la scuola di filosofia PRAXIS, diventata nel tempo essenziale al progetto del Festival. Praxis, infatti, pur sviluppando un percorso suo proprio in originalità e direzione di ricerca, porge a Crisalide, ogni anno, gli strumenti necessari per delineare l’orizzonte entro il quale operare le proprie scelte. Nelle varie edizioni avrete maturato, sicuramente, un rapporto con il pubblico. Sarebbe interessante capire come avete pensato e sviluppato nel tempo di promuovere una sensibilità e riuscire dunque nell’intento della stagione. Ad esempio l’edizione di quest’anno parla di un’esperienza selvaggia, cosa si vuole trasmettere? La ricerca costante di relazioni temporali e di senso tra le opere presentate, che spesso si innestano nella cornice delineata dal tema/titolo del Festival, conduce ad una proposta complessiva omogenea ed intersecata, le cui componenti si rilanciano continuamente da una edizione all’altra. Costante è lo sforzo di promuovere nuove ed efficaci attività che creino un più saldo rapporto del pubblico col Festival. In questo senso va il progetto Dialoghi con gli artisti curato da Lorenzo Donati, che quest’anno si fa forte di due giornate (le domeniche 9 e 16) di incontro e dialogo collettivo tra gli artisti su questioni che toccano da vicino il fare e lo stare. Il tema/titolo che caratterizza ogni edizione non vuol essere comunque uno strumento per individuare opere specifiche, quanto l’alveo all’interno del quale muovere una sensazione di fondo, su cui incanalare studi e ricerche: in questo senso è qualcosa che serve a noi stessi per dichiarare un interesse, per definire una attenzione precisa nei confronti dell’artista e del pubblico, una dichiarazione di affetto, come se si dicesse “stiamo pensando a voi”. Nello specifico, il tema di quest’anno trae vita dal rifiuto che il filosofo Michel Foucault opera nei confronti della fenomenologia, affermando che non esiste “esperienza selvaggia”, nel senso che “tutto è sapere”. A questo rifiuto noi affianchiamo la percezione grezza di Merleau-Ponty e di Giacometti, per i quali il corpo intende la realtà al di là del sapere precostituito e della cultura. Venendo concretamente alla rassegna. Diversi spettacoli dal primo al sedici settembre, un’offerta variegata fra teatro e danza. Com’è stata pensata la scelta artistica? La scelta delle diverse opere si matura sulla conoscenza dell’artista, si consolida nella necessità di disegnare il percorso della Compagnia negli anni, nello scambio reciproco di pensiero e nell’avviamento di progetti comuni. L’edizione di quest’anno presenta due giornate speciali (sabato 8 e 15) che vedranno la presenza di numerosi artisti e compagnie di teatro e danza, chiamati a presentare brevi opere nello stesso spazio e distanza di poche decine di minuti l’una dall’altra, intervallati o preceduti da alcuni atti di pensiero. A questo proposito vorrei ricordare tra gli artisti presenti: Kinkaleri, Cristina Rizzo, Simona Bertozzi, Teatro i, Paola Bianchi, Teatro Akropolis, Fanny & Alexander e i musicisti Enrico Malatesta e Carlo Siega. Tra gli studiosi, Raimondo Guarino, Simone Azzoni, Sara Baranzoni, Enrico Pitozzi, Laura Gemini e Giovanni Boccia Artieri, il filosofo Paolo Vignola. Le altre giornate del Festival, che va dall’1 al 16 settembre, vedranno Ermanna Montanari, Roberto Latini, Cosmesi, Werner Waas e Lea Barletti, la inedita coproduzione del Macbetto di Testori ad opera di Teatro delle Albe, Menoventi e Masque, e ancora Muta Imago, Nicola Galli, Camilla Monga. Non solo spettacoli ma anche attività di coinvolgimento, si legge di numerosi laboratori… Crisalide si propone da sempre come luogo di pratiche, di pensiero agito e condiviso. Il festival ospita il laboratorio di pratiche vocali Dare Voce, condotto dalla cantante ed attrice NicoNote, un workshop dedicato alla costruzione e manipolazione di marionette della compagnia All’incirco, Lento, più lento, pranayama, in cui Francesca Proia sposa la disciplina dello yoga alle pratiche coreografiche, infine, la compagnia Muta Imago proporrà Nacstens, mehr!, un percorso laboratoriale di più giornate che avrà come esito una apertura al pubblico domenica 16 settembre. Quale il dialogo con le istituzioni e che tipo di lavoro si sta svolgendo sul territorio? Dal 2010 al 2014 Masque ha avviato, con mezzi propri ed una azione di crowdfunding, la ristrutturazione e messa in agibilità dello spazio in cui la Compagnia già operava sin dai primi anni 2000, una vecchia filanda sita in Via Orto del Fuoco a Forlì, intitolando il nuovo teatro al filosofo francese Félix Guattari. Il teatro ha ospitato, in modo regolare e continuativo, non solo l’attività di ricerca e creazione di Masque e tutte le ultime 18 edizioni del Festival, ma anche residenze artistiche rivolte prevalentemente a giovani formazioni italiane attive nel teatro e nella danza, divenendo negli ultimi anni centro di riferimento per la scuola di filosofia Praxis, di cui Masque teatro cura l’organizzazione. Il Festival si è avvalso e si avvale della collaborazione con gli enti territoriali (Regione Emilia-Romagna, Provincia di Forlì e Cesena, Comune di Forlì, Romagna Acque - società delle fonti), con enti privati quali la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì ed istituzioni (France Danse, Nuovi Mecenati, Istituto Svizzero di Cultura di Roma, Università di Roma Tre, Teatro Diego Fabbri di Forlì, Centro di Studi Teatrali-Dipartimento SITLeC-Università degli studi di Bologna sede di Forlì). La Compagnia ed il Festival, attraverso le produzioni proprie, le ospitalità di artisti nazionali ed internazionali, la cura di specifici momenti di scambio ed incontro con artisti, filosofi e studiosi, hanno creato negli anni, tra il pubblico, una affezione salda e costante. Pensare al teatro oggi. Cosa possiamo dire riguardo la situazione contemporanea? Il teatro del presente è multiforme. Quello che appare evidente è la frattura nettissima fra un teatro che fa della processualità la sua essenza costitutiva, quasi che i suoi esiti siano lo scarto della sua prassi, ed un teatro della confezione, che nel packaging trova conforto e risorse. La recente esperienza di direzione plurale del teatro comunale Diego Fabbri di Forlì, dove fortissimamente volemmo che una stagione di Contemporaneo affiancasse quelle tradizionali di Prosa e Danza, si è ora conclusa. Con l’affidamento del teatro ad una unica realtà consolidata del territorio emerge chiaramente come le forze politiche non siano in grado o non vogliano in nessun modo arginare il fenomeno del monopolio teatrale che facendo del consenso la sua arma letale soffoca qualsiasi spinta innovatrice. Nonostante questa sistematica opera di annichilimento di un teatro che si fa vita e diviene spinta propulsiva per leggere il futuro, sono vivi in Italia luoghi nei quali si condensa una conoscenza che io chiamo “dell’oltre”, che stravolge il consueto, che attinge nelle creazioni ai fondamenti, che si pone come trampolino per avventure di senso. Vorrei qui ricordare il Teatro i a Milano, Ateliersi a Bologna, Fanny & Alexander a Ravenna, il Félix Guattari di Masque a Forlì, lo spazioK di Kinkaleri a Prato.

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