Quando Cuticchio e Sieni ci resero nudi

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21 novembre 2018
Riprendere in mano Goliarda Sapienza e leggere: “Riposa il pupo durante il giorno, si lascia andare a una morte apparente per rinascere ogni notte all’avventura”. Come non pensare, allora, all’avventura emotiva vissuta qualche sera fa al Teatro India per il Roma Europa Festival, l’esperienza di veder combinate le arti di due maestri del panorama teatrale, la danza di Virgilio Sieni e l’arte antica dei Pupi di Mimmo Cuticchio. Oltre al momento di bellezza visiva pura, lo spettacolo, collocato in una modernità che propaganda diffidenza e respingimento, in un contemporaneo disumanizzato, risulta ancor di più necessario. “Nudità” è fondamentale esempio per cura, delicatezza del contatto, per tatto, per la gentilezza e consapevolezza di Mimmo Cuticchio nel dialogare con le sue creature di legno, la sapienza dei fili, e per la danza di Sieni, coreografo e danzatore dall’intensa espressione coreografica, che Goffredo Fofi descrive come “tra i pochissimi capaci tramite il movimento di dar vita a composizioni che parlano ancora dell’umano, delle sue debolezze e fragilità”. Nudità è articolato semplicemente, e proprio per questo scava nel profondo. Ricorda quale dovrebbe essere davvero la nostra ricerca, il nostro stare nel mondo, essere autentici e mantenersi vicini al sensibile o come diceva Isadora Duncan “L’uomo, giunto al termine della civilizzazione, dovrà ritornare alla nudità: non alla nudità inconsapevole del selvaggio, ma a quella conscia e riconosciuta dell’uomo maturo, il cui corpo sarà l’espressione armoniosa della sua vita spirituale”. Il movimento che conduciamo nel mondo ci può condurre a uno stato di nudità, come nello spettacolo interamente concentrato sul movimento di due corpi, uno animato e uno inanimato. L’eleganza che predomina in entrambi crea la chiave di volta per accedere alle corde sottili, Sieni è maestro di gestualità, movimenti meccanici e netti sono anche fluidi, densi, tutti parte di un unico percorso estetico lineare, pulito, Cuticchio, invece, puparo di tradizione, insegna il garbo e la pazienza, la sapienza artigiana, l’ascolto del linguaggio che rende vivi i pupi e si animano davvero, nel senso che prendono vita e nel senso che gli viene trasmessa un’anima o semplicemente hanno proprio una loro anima, così grande che viene trasmessa tutta dalla loro piccola struttura di legno. Non si scorge da chi è partito il primo segnale al movimento, da Sieni sembra partire l’intuizione, il suggerimento, seguito poi da Cuticchio che gestisce i fili, o è dalla marionetta che scaturisce tutto? Chi sta seguendo chi? Sembrava partisse da uno, sembra poi che la marionetta predomina e indica lei il movimento da fare, in lei è conservato l’archetipo che regge lo spettacolo, forse lei, lei/lui pupo e i suoi fili stanno muovendo tutto, muovono Cuticchio, Sieni, muovono noi. Quello di Nudità è tutto un lavoro concentrato sul sentire, sin dall’ingresso. Uno spettacolo privo di scenografia, dato che l’essenziale risiede nella vibrazione che fin dal primo momento gli artisti riescono a trasmettere. Questo consegnare si avvale oltre che dell’immensa bravura, anche del sapiente uso della luce e di un’unica traccia musicale, delicata e potente, che a ripetizione occupa tutto il tempo, un suono in crescendo di quelli che mirano dritti a generare un patto di silenzio nella sala che nei momenti alti diventa devota all’amplificazione. In questo “umanissimo incontro incentrato sull’ascolto delle naturali articolazioni delle braccia, delle mani, delle gambe e dei busti per realizzare una relazione fisica ed emotiva, attraverso il riprendere, l’uno dall’altro, gesti e posture” si purificano gli occhi e, in un gesto di assoluta bellezza, la marionetta passa dal suo puparo in braccio a Sieni. Lì è un attimo piccolo e unico, un indivisibile momento, dove sfila il corteo delle emozioni tutte, c’è nostalgia, malinconia, gioia, felicità, c’è vita in tutta questa pienezza. Lo scambio delle arti, la condivisione giunta al suo massimo. Lo studio sull’anatomia della marionetta, che Cuticchio anima (o è sempre lui ad esserne animato?) assieme alla connessione con il corpo del ballerino in una poetica di attenzione al movimento mostrano questa umanità ancora più scoperta perché si svela e si avvicina. E con un ritmato, frenetico battito del piede, in siciliano Cuticchio interviene e parla delle “stilli” / “u mari” / “u cielu” in un’agitato e immedesimato racconto che pare preghiera, che fa pensare all’umanità in mare, a chi le stelle si trova a guardarle per esigenza perché il cielo fa da tetto (e non è sempre poetica questa dimensione). Ricordiamoci di quella sottigliezza interna che va oltre, pare aver suggerito l’intero spettacolo, di prestare ascolto soprattutto all’anima delle piccole cose. E forse dovremmo interrogarci davvero, con leggerezza e profondità, connetterci davvero e simulare la verità di una marionetta, senza maschera, più autentica e diretta di tanti altri burattini che girano, camminano, vivono senza fili, sembra. Ma che non sempre tutto è come sembra dovremmo averlo capito ormai.

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