Non c’è anima “Nella giungla delle città”

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01 dicembre 2018
“Nella giungla delle città” è un’opera giovanile di Bertolt Brecht che indaga il complesso rapporto tra la natura umana e il mondo a essa circostante una volta contaminatala con i ritmi, i vizi e le ambizioni dell’epoca contemporanea. Antagonisti e protagonisti di uno scontro senza apparente senso sono Shlink e George Garga: entrambi sradicati dal loro ambiente d’origine - il primo è un magnate del legname venuto dal lontano Oriente, il secondo si è stabilito a Chicago con tutta la sua famiglia dopo aver lasciato la campagna – si fronteggeranno senza esclusione di colpi in un duello titanico. La causa scatenante della loro sfida è già di per sé paradossale: Garga fa il commesso in una libreria dove Shlink entra accompagnato dal suo drappello di tirapiedi, fingendosi un cliente occasionale. In realtà il commerciante, che crede di poter ottenere qualunque cosa con il proprio denaro, lo spia da tempo e ha deciso di fare sì acquisti, ma non di libri: quel che vuole comprare è l’opinione dell’uomo. Garga non accetta l’affare, benché l’acquirente metta in mezzo i genitori, la sorella, persino la donna del poveretto: si convincerà a raccogliere la provocazione solo quando Shlink, acceso dai suoi continui rifiuti, deciderà di mettergli in mano il suo intero patrimonio economico. Sperando, così, di corromperne l’interiorità. Questa scelta porterà entrambi all’estremo limite delle proprie personalità, rivelandone i tratti più inaspettati. La decisione di mettere in scena questo testo da parte della compagnia Cavalierimascherati, particolarmente interessata allo studio delle opere di Brecht, è di certo stimolante: così come ai tempi della stesura di “Nella giungla delle città” - avvenuta nel primo dopoguerra - anche oggi l’America rappresenta idealmente il luogo dove i sogni di riscatto e gloria possono avverarsi. Per non parlare del tema dello straniero, guardato con perenne sospetto anche se perfettamente integrato: le sue oscure origini non possono che suscitare le più strambe leggende sul suo conto, insieme all’inevitabile codazzo di stereotipi. Ma c’è di più: i due personaggi principali non sono moralmente mai ben definiti. Se Shlink appare inizialmente come il mefistofelico corruttore, agevolato nel suo compito dall’ingente mole di risorse economiche di cui dispone, la percezione che se ne ha muta decisamente nel corso degli eventi. Lo stesso accade con Garga il cui idealismo diviene in breve presunzione ottusa, incurante com’è delle sorti di chi gli gravita intorno. I due, ritrovandosi infine quasi uno nei panni dell’altro mostreranno, forse, il loro più autentico carattere. L’allestimento diretto da Alessandro De Feo e andato in scena al Teatro Trastevere si contraddistingue per la freddezza delle interpretazioni: Marco Usai, trovato più a suo agio nel ruolo di Garga rispetto ad altre prove precedenti, pare non riuscire a trasmetterne appieno le contradizioni. Un difetto ancora più vistoso nella recitazione di Diego Migeni nella parte Shlink, distaccata per l’intero spettacolo anche al momento della capitolazione finale. La sensazione generale è che tutto il cast non abbia approfondito troppo l’introspezione psicologica del proprio personaggio: il risultato è che, in ognuno di loro, il passaggio da uno stato d’animo all’altro arrivi al pubblico in maniera meccanica e un po’ posticcia. Sottraendo all’intera vicenda quell’ambiguità umana che – per chi scrive - è il valore fondamentale di questa creazione di Brecht. Se l’obiettivo, invece, era quello di impedire l’identificazione dell’attore con il suo ruolo - come richiede una certa lettura del teatro epico – il traguardo è perfettamente raggiunto.

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