Davide Mattiello: breve riflessione su Codice Antimafia e il caso dell'università di Catania

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28 giugno 2019
Quando modificammo il Codice Antimafia ed inserimmo anche l’indizio di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione tra i presupposti soggettivi per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali ci attaccarono più o meno da ogni dove dicendo che era una inutile barbarie giudiziaria. Ma noi avevamo in mente proprio situazioni come quella di Catania. Vado oltre: se il crimine “mafioso” è quello che per compiersi si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo, capace di generare omertà e assoggettamento, mi chiedo da un pezzo se queste forme di associazione per delinquere non integrino la fattispecie. Esagerato? Ma se queste associazioni hanno il potere di determinare la carriera universitaria di tanti legittimi aspiranti non sono forse in grado di generare assoggettamento proprio per la percezione prodotta nell’ambiente dal vincolo associativo? Si dirà che perché ci sia “forza intimidatoria” secondo il 416 bis ci vuole sempre almeno la “riserva di violenza”, giusto. Ma cosa è violenza? Approfittare della propria posizione di potere per determinare la vita di centinaia, forse migliaia di persone, che “per un sì o per un no” possono avere la carriera stroncata, non è forse una forma di violenza? Io dico di sì: una forma terribile per di più. La mafia ha fatto scuola ed il metodo mafioso è quello più praticato da quelle consorterie criminali che abusando sistematicamente del potere, acquisiscono illeciti vantaggi ed ancora più potere. La mafia infatti, nella lezione di Pio La Torre, è pur sempre il “crimine delle classi dirigenti”. Oggi leggiamo di Università, ma credo che lo stesso ragionamento si possa spostare in Sanità.

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