Human Rights Defender a Dublino. Si riparte da qui.

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04 ottobre 2019
Partecipare all’incontro organizzato da Frontline Defenders a Dublino, dal 02 al 05 settembre, insieme a circa un centinaio di attivisti e difensori per i diritti umani nel mondo impegnati contro dittature, discriminazioni e violenze di ogni genere, mi ha riempito di orgoglio. Il mondo ha mostrato uno dei suoi volti migliori. Donne provenienti dalla Bolivia, Madagascar, Nigeria, Sudafrica e da molti altri paesi hanno raccontato le loro lotte, socializzate le loro metodologie e raccontato le loro difficoltà. Molti transgender, transessuali e omosessuali hanno raccontato le violenze e le discriminazioni che sono costrette/i a subire ogni giorni nei loro paesi. Alcuni di loro lo hanno fatto sorridendo, altri piangendo, altri stringendo la loro bandiera nel pugno e altri ancora invece alzando quel pugno in segno di libertà e giustizia. Alcuni tra tutti quei ragazzi e ragazze non hanno potuto mostrare il loro volto ne pronunciare il loro nome. A me il compito di raccontare cosa abbiamo organizzato in termini di lotta, autodeterminazione, consapevolezza ed emancipazione nell’Agro Pontino e dunque in Italia nella battaglia contro ogni forma di schiavitù, sfruttamento, discriminazione e violenza contro i migranti, a volte impiegati come schiavi nelle nostre campagne. Presto peraltro ne parleremo anche alle Nazioni Unite dove porteremo nuove prove e nuove modalità di lotta contro un fenomeno che è inciso a fuoco nella carne di un capitalismo predatorio e nel contempo cannibale. Queste persone, coi loro linguaggi, colori, esperienze, cicatrici, sono la prova che nel mondo viaggia ancora un sogno che è quello di costruire una società migliore in cui nessuno, riprendendo Martin Luther King, possa essere discriminato per il colore della propria pelle ma anche per la sua nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza di classe, idee politiche, ecc. E poi difendere questa terra dalla predazione e da ogni processo che ne alteri gli equilibri ecologici. Quando ho sentito i racconti di tante donne e uomini del Sudamerica parlare di lotta alle devastazioni ambientali, di difesa del territorio e della vita dei villaggi dagli squadroni della morte dei loro governi, dei loro compagni e compagne uccisi in raid assassini dalle forze di polizia locali, ho visto la violenza di un mondo che non vuole rassegnarsi e la bellezza di un altro invece che non vuole soccombere e per questo ha deciso di resistere. A questi difensori dei diritti umani non è stato regalato nulla. Si sono conquistati ogni metro fatto, ogni parola pronunciata, ogni cicatrice. Alcuni tra loro hanno fatto anche dieci o venti anni di carcere perché credono nella democrazia, che è inclusiva oppure non è. Una democrazia che non accetta la sfida della complessità a partire dall’inclusione della diversità dentro ogni declinazione possibile, non è una democrazia ma l’espressione di un sovranismo che è potere di pochi contro la povertà di molti. E’ solo e drammaticamente una variante machista del neoliberismo. Qualcuno ci ha raccontato, per anni, che bisognava tenere i piedi per terra e che le ideologie erano tutte morte. Io so che volare a volte serve per alzare lo sguardo, che le ideologie sono morte ma non la voglia di giustizia e libertà che anima le menti e i corpi di tante persone che in diverse aree di questo pazzo mondo anziché scuse per non fare, vivono le ragioni del fare e soprattutto del fare nella direzione di un cambiamento che riconosca giustizia, futuro, libertà, democrazia a tutti. "Nessuno escluso" è ciò che spero presto diventi la bussola del cambiamento. Qui si respira aria di resistenza, coi contadini che resistono alle multinazionali, indigeni coi loro fierissimi abiti colorati, ragazze di vari paesi dell’Est Europa che si commuovono quando sentono parlare di libertà, più libertà per tutti. Non so dove nasca la storia. Anzi, credo che la storia nasca dal lavoro. So che però la storia la cambia chi decide di cambiare il modo di lavorare, ragionare, parlare, vivere nel mondo. La scelta inevitabile è quella di socializzare le lotte, unire i saperi, con-fondere nel senso di tenere insieme le persone, allargare i diritti, sconfiggere le disuguaglianza. Dicono sia un sogno, a me da Dublino pare un sogno possibile. Fiero di essere stato nominato Human Rights Defender, il resto lo faremo insieme.

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