L’Ecologia lungo la Nuova Via della Seta - Kazakhstan - Seconda Parte

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19 ottobre 2019
La prima fermata lungo questo itinerario ecologico sulle magistrali della Nuova Via della Seta (http://www.tempi-moderni.net/2019/10/11/lecologia-lungo-la-nuova-via-della-seta-i-parte/) è in Kazakhstan. Il più grande degli –Stan dell’Asia Centrale, nono per dimensione a livello mondiale, genera il 60% del PIL regionale soprattutto grazie all’industria estrattiva. Circa 18 milione e mezzo di abitanti, con un’importante minoranza russa (il 20% della popolazione totale), è paese segnato da un non facile passato sovietico sotto il profilo ecologico.
E in proposito la prima fermata è d’uopo non solo per le dimensioni del paese, per la sua collocazione e per il suo peso regionale, ma è anche giusta e doverosa nei confronti della sua opinione pubblica. Parlando infatti di giustizia ambientale e dei movimenti che si sono distinti per le loro battaglie e per i loro successi nella tutela del territorio, al seminario presso l’ICTA, l’Istituto di Scienze e Tecnologia Ambientale dell’Università autonoma di Barcellona, si è cominciato da un movimento che è stato grande protagonista del passaggio dal periodo sovietico all’indipendenza kazaka, il Nevada – Semipalatinsk. Il nome del gruppo fondato nel febbraio 1989 dal poeta e figura pubblica del paese Olzhas Suleymenov si riferisce a due siti di test e ricerca nucleare. Semipalatinsk si trova in Kazakhstan, è stato il poligono nucleare più grande dell’Unione Sovietica. Nella sola prima settimana di esistenza del movimento Nevada-Semipalatinsk furono due milioni le firme raccolte per una petizione a Mikhail Gorbachov perché i test venissero interrotti. Dopo un anno di dimostrazioni, il divieto entrò in vigore. Un grande successo per la popolazione locale, me che purtroppo non cancellava gli irreversibili effetti del nucleare sul territorio kazako.
Prima di prendere in considerazione il sito fonte del contendere con Mosca, si deve precisare che la percezione dell’utilizzo del nucleare in Unione Sovietica si distanziava nettamente dalla consapevolezza e dalla sensibilità attuali. Il nucleare era utilizzato non solo a fine militare, energetico, ma anche come valida alternativa al comune esplosivo. Si trova traccia di questo anche in Kazakhstan, con storie che lasciano oggi basiti. L’esempio più eclatante è il Lago Chagan, detto il Lago Atomico. Nel 1965 venne fatto detonare un ordigno atomico a 178 metri di profondità nel letto asciugato del fiume Chagan per creare una riserva d’acqua presso Semey/Semipalatinsk. Quella riserva, che esiste tutt’oggi, è appunto il Lago Atomico. L’esplosione avvenne senza che fosse fatta evacuare la popolazione, in un’area densamente abitata. La roccia sul fondo del lago si è fusa ed è rimasta vetrosa.
Semipalatinsk
Semipalatinsk è il poligono nucleare più grande del mondo. Si trova a 150 km circa dalla città di Semipalatinsk. Quando il poligono era in funzione ci vivevano circa 200 mila persone. L’intera area è contaminata da cesium-137 e stronzio-90, isotopi radioattivi frutto della fusione nucleare. L’impatto dei test è esteso: centinaia di chilometri quadrati di terra rimangono inutilizzabili, la temperatura del terreno è elevata, in alcuni casi supera di 15 gradi quella della temperatura media del terreno nel paese. È rimasta insomma un’enorme graticola nucleare, e permangono gli effetti sugli umani: anemia, difetti alla nascita, leucemia. Si stima che le persone esposte a radiazioni superiori alla media siano circa 1 milione e duecento mila. Alcune fra esse hanno subito lo stesso livello di contaminazione di chi si trovava a mezzo chilometro dall’esplosione atomica di Hiroshima. Questi dati fanno comprendere da dove sia nata una mobilitazione popolare così possente e motivata come quella di Navada-Semipalatinsk. Semipalatinsk è uno di quei luoghi in cui le parole “mai più” acquisiscono un significato imperituro. Imperituro come purtroppo l’onda lunga dei test nucleari.
E purtroppo il paese non ospita solo questo sito, la cui bonifica e smaltimento da soli richiede sforzi titanici e investimenti astronomici.
Aral e dintorni
Se l’entità del dramma di Semipalatinsk è rimasto a lungo ignoto sia ai residenti locali che all’opinione pubblica internazionale, l’agonia dell’Aral ha avuto e saltuariamente ha ancora visibilità. Il fu Lago d’Aral sta scomparendo, frutto di interventi che hanno portato all’attuale disastro ambientale.
Il bacino nel 1989 e nel 2014
Il dramma della scomparsa dell’Aral è legato non solo all’acqua, ma anche alla terra. Più specificatamente alla terra dell’isola di Vozrozhdenije che – ironia macabra – significa Rinascimento, o Rinascita. L’isola è oggi una lingua di terra che si protrae non più disconnessa dalle coste. Si loca in parte in Kazakhstan, in parte in Uzbekistan. Sull’isola si trovava una base militare sovietica. La base ospitava un laboratorio per armi biologiche: dall’antracite alla peste bubbonica, e quivi venivano smaltite, sotterrate o immerse nel fondale dell’Aral, i residui e le scorie sia chimiche e nucleari. Contaminata la terra, le acque, e la fauna dell’isola, che una volta che le acque si sono ritirate hanno avuto accesso alla terra ferma; topi, capre, asini, nonché le cavie da laboratorio che erano state abbandonate quando la base venne chiusa nel 1991.
Vozrozhdenije è oggi considerata la più grande discarica di antrace al mondo. Una bonifica del 2002 ha portato alla neutralizzazione di un paio di centinaia di tonnellate di antrace, ma il problema permane. Anche perché lo stoccaggio di residui interrati o insabbiati sotto il livello del mare è oggi esposto. Dal letto dell’Aral emergono quindi i contenitori degli esperimenti, delle spore, di quanto si voleva celare e rendere inaccessibile e remoto dall’uomo ai tempi di un paese che non esiste più. Purtroppo non esiste nemmeno più lo specchio d’acqua che doveva garantire questa inaccessibilità, anch’esso inghiottito dal tempo e dalle scelte scelerate di allora.
Un mondo scomparso ma che lascia una eredità però pesantissima. La lotta quotidiana con il passato si quantifica in una stima di 230 milioni di tonnellate di residui radioattivi sepolti in Kazakhstan, di cui 179 milioni potrebbero essere altamente radioattivi, in un processo di desertificazione che disvela dalle viscere della terra armi chimiche e biologiche abbandonate.

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