L’Ecologia lungo la Nuova Via della Seta Quarta Parte - Turkmenistan

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06 novembre 2019
La terza fermata lungo questo itinerario ecologico sulle magistrali della Nuova Via della Seta (http://www.tempi-moderni.net/2019/10/11/lecologia-lungo-la-nuova-via-della-seta-i-parte/) è in Turkmenistan. Con il Turkmenistan si ritorna sul Mar Caspio, di cui si era accennato parlando di Kazakhstan (http://www.tempi-moderni.net/2019/10/19/lecologia-lungo-la-nuova-via-della-seta-kazakhstan-seconda-parte/). Oltre al Mar Caspio, a ovest, il Turkmenistan confina con il Kazakhstan, con l’Iran, con l’Afghanistan e con l’Uzbekistan. Largamente spopolato, non arriva ai 6 milioni di abitanti. Il centro del paese è occupato dal grande deserto di Karakum, cioè dalla sabbia nera. È noto soprattutto per una forma di governo repressiva e per le immense ricchezze di idrocarburi, ma questa è la storia di oggi. L’odierno Turkmenistan si trovava sull’antica Via della Seta, come attestato da destinazioni come la città-oasi di Merv, insediamento umano del terzo millennio a.C. fino alla sua distruzione operata nel XVII secolo da parte dell’Emirato di Buchara e al definitivo abbandono dopo l’annessione alla Russia nel 1888. Dal 1881 la storia dell’odierno Turkmenistan si intreccia con quella dell’impero zarista prima, dell’URSS poi. E della loro ecologia di conseguenza. La desertificazione L’intera Asia Centrale risente di un processo di desertificazione. Se ne è parlato relativamente all’Aral (http://www.tempi-moderni.net/2019/10/26/lecologia-lungo-la-nuova-via-della-seta-terza-parte-uzbekistan/) che ne è vittima e con-causa. L’onda lunga del disastro arriva fino al Turkmenistan, dove la crisi idrica del bacino dell’Aral contribuisce a ridurre l’arabile. Un insieme di altri fattori, fra cui gioca un notevole peso l’inquinamento, ha contribuito a ridurre la produzione biologica del sistema ecologico del paese dal 30% al 50% in pochi anni. I grandi deserti del Karakum e del Kizilkum si stanno espandendo a un ritmo che a livello planetario è sorpassato solo dai processi di espansione del Sahara e della riduzione della contigua zona semi-arida del Sahel (http://www.tempi-moderni.net/2019/10/26/lecologia-lungo-la-nuova-via-della-seta-terza-parte-uzbekistan/), che stanno causando la grossa crisi socio-economica e demografica di cui le ondate migratorie sono distanti testimonianza (http://catalogue.unccd.int/22_loose_leaf_Desertification_migration.pdf) . In Asia Centrale la desertificazione insabbia letteralmente dagli ottocento mila al milione di ettari di terra all’anno. Un processo finora inarrestabile in cui intervengono anche fattori legati al sistema di gestione delle acque. In Turkmenistan si trova il più grande canale di irrigazione del pianeta, il Canale Karakum. Il canale è lungo 1350 chilometri, con una capienza di 500 metri cubi al secondo, e porta alle zone abitate del paese le acque dell’Amu-Darya. Il suo percorso fornisce acqua all’industria del cotone e all’oasi di Murgap. La costruzione del canale è iniziata nel 1959 – una prima sezione- e poi nel 1976 la seconda sezione. È oggi una infrastruttura problematica. Il percorso è pieno di perdite e fuoriuscite. Quasi metà delle acque trasportate finiscono in stagnetti e lagune saline che si sono creati lateralmente al suo tracciato. Buona parte di questi bacini laterali hanno vite brevi a causa dell’alto tasso di evaporazione, e non finiscono che alimentare periodiche formazioni di pozze argillose instabili. Già nel 1989 l’Istituto per Gli Studi sul Deserto del Turkmenistan registrava che spazi con queste caratteristiche coprivano un’area di un milione di acri. Il Lago dell’Età dell’Oro Il governo turkmeno ha cercato una risposta al problema della desertificazione. L’idea che ha prevalso è un progetto faraonico che dovrebbe portare il verde nel cuore del deserto: un lago creato da mano umana, il Lago dell’Età dell’Oro. Come sede di questa gigantesca riserva idrica è stata scelta la depressione di Karashor, nel nord del paese. Il Lago, una volta riempito - e a riempirlo ci potrebbe volere una decade a infrastruttura finita – dovrebbe essere di 2000 chilometri quadrati, con una profondità massima di 70 metri e una capienza di 130 chilometri cubi d’acqua. Il sistema di canali tributari si estenderebbe per quasi 3000 chilometri. L’idea è di creare una gigantesca riserva di verde, biodiversità, in grado di attirare gli stormi migratori che attraversano l’Asia, fornire acqua per l’irrigazione e per le comunità che attualmente sono particolarmente vulnerabili ed esposte alle crisi idriche che riguardano i grandi bacini asiatici, dall’Aral a grandi fiumi come l’Amu Darya. E proprio da qui partono le critiche sulla sostenibilità dell’opera. L’Uzbekistan e il Turkmenistan dividono i 60 chilometri cubi d’acqua che fluisce lungo l’Amu Darya, e se il Turkmenistan dovesse drenarne una quota superiore a quella attuale inevitabilmente il già problematico accesso alla risorsa primaria per l’Uzbekistan sarebbe fatale. Parlare del Lago dell’Età dell’Oro permette di richiamare l’attenzione sui conflitti regionali che riguardano l’acqua. Le frizioni per un bene che è prima di tutto un diritto essenziale sono una fonte di tensione in Asia Centrale. I paesi “a valle” dipendono dai paesi “a monte”, e lo swap in periodo sovietico era energia/idrocarburi per garanzia di accesso all’acqua. Ma questo scambio di risorse di rende sempre più complicato, anche perché appunto la qualità dell’acqua non garantisce più la resa agricola di un tempo, e nemmeno il livello di salute. Inoltre progetti come il Lago dell’Età dell’Oro incidono nei rapporti di ridistribuzione fra paesi, appunto Uzbekistan e Turkmenistan, senza precise garanzie di sostenibilità ambientale. Gli studi in merito sono discordanti. Un bacino di quelle dimensioni può generare un ecosistema stabile, ma le sfide poste dal processo di desertificazione in corso e il riscaldamento globale possono o meno invalidare le stime originali. L’apertura del cantiere è nata con il millennio, e la previsione era che per il 2020 il lago ci sarebbe stato. Come spesso accade per grandi opere nate per essere cattedrali nel deserto – e mai espressione fu più appropriata - ad oggi si sta entrando nella fase uno per la nascita del lago artificiale.

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