L’Ecologia lungo la Nuova Via della Seta Quinta Parte - Kirghizistan

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13 novembre 2019
Con questa tappa, il Kirghizistan, si comincia a salire sulle alte vette delle catene montuose asiatiche. Dopo aver costeggiato con Kazakhstan e Turkmenistan il Mar Caspio (seconda e quarta tappa dell’Ecologia lungo la Nuova Via della Seta, http://www.tempi-moderni.net/2019/10/19/lecologia-lungo-la-nuova-via-della-seta-kazakhstan-seconda-parte/ e http://www.tempi-moderni.net/2019/11/06/lecologia-lungo-la-nuova-via-della-seta-quarta-parte-turkmenistan/ ), e aver constatato la triste sorte toccato al grande bacino dell’Aral (http://www.tempi-moderni.net/2019/10/26/lecologia-lungo-la-nuova-via-della-seta-terza-parte-uzbekistan/) ci si inerpica verso i picchi di oltre 7000 metri. E sicuramente il Kirghizistan è una meta turistica largamente sottovalutata da chi ama l’alpinismo. Chiamato la Svizzera dell’Asia, il suo territorio è per l’80% costituito dalla catena del Tian Shan. È il paese in assoluto al mondo più remoto dal mare, nessuna delle sue acque raggiunge bacini d’acqua salata aperta. Ospita il secondo lago di montagna al mondo, l’Issyk-Kul o Ysyk-Köl, che si trova a nord ovest del paese, ingiustamente assai meno noto del più grande del mondo, il Titicaca, mentre lungo il confine cinese c’è il picco Jengish Chokusu, che con i suoi 7 439 metri è il picco oltre i 7000 più a nord del mondo. Ma senza allontanarsi troppo dalla capitale, Bishkek, di circa un milione di abitanti, si raggiungono facilmente picchi di 4000 metri. L’alta montagna ha cominciato ad essere sfruttata in era sovietica, mentre la ricchissima e più che bimillenaria storia degli insediamenti nel paese si è dipanata lungo le sue valli, non ultima quella di Fergana. Alta montagna significa ghiacciai, sorgenti, sottosuolo e minerali, prima di tutto. Ed intorno a questi fattori di territorio ed economia del sistema kirghizo sono nate anche le principali criticità ambientali. La crisi dell’alta e media montagna II Tian Shan, le Montagne Celesti, si stende per 2 500 chilometri. È riconosciuto come Patrimonio Universale dell’Unesco, sia dalla parte cinese che quella che attraversa Kazakhstan, Uzbekistan e Kirghizistan. L’area dei ghiacciai è estesa, il più lungo è di circa 60 km. Ma come molti ghiacciai anche quelli del Tian Shan stanno recedendo. Negli anni 2003-2004 un numero inusitatamente alto di valanghe, inondazioni e frane segnava il passo di una emergenza legata alla montagna che non è certo limitata a questa parte di mondo. 38 morti nel 2003, 33 nel 2004 in episodi ognuno di un solo giorno. Ma solo nel 2004 si sono contate più di venti gravi episodi (https://www.geominprojects.com/29-prirodni-rizika.html?jazyk=en). Sono 8000 le abitazioni travolte in una decina d’anni, al ritmo di circa 660 l’anno, per episodi che si registrano soprattutto a media e medio-bassa montagna, ove incidono oltre al riscaldamento globale, una delle cause identificate delle instabilità dei ghiacciai, anche l’attività umana, soprattutto la deforestazione e la ricerca di nuovi pascoli. Una miscela insostenibile minaccia le pendici delle catene montuose dell’Asia: da un lato la desertificazione che spinge alla ricerca di nuovi pascoli, dall’altro una quantità di bestiame quadruplicata in un cinquantennio sovietico, fino ad arrivare a 10 milioni di capi nel 1991, e in continua ascesa sotto la pressione demografica umana. Anche l’instabilità economica ha giocato la sua parte, poiché negli anni della transizione post-sovietica molti sono ricorsi a un bene rifugio come la pastorizia. Sottoposto ad accelerazioni di domanda, il 60% del suolo kirghizo si trova in condizione di deficit di terriccio, e salinizzato al 6%. Si cercano nuovi pascoli, quindi, e si deforesta. L’industria mineraria Il ricco sottosuolo kirghizo possiede importanti depositi di oro e metalli. A 350 km da Bishkek, ad un’altitudine di 4000 metri, si trova la grande miniera d’oro di Kumtor. Scoperta negli anni ’70 ma considerato investimento troppo costoso in periodo sovietico, i diritti di sfruttamento passano con contratto firmato negli anni ’90 alla Centerra Gold, compagnia canadese. All’inizio del millennio da sola la miniera d’oro forniva il 10% del PIL e il 40% delle esportazioni nazionali. Ma è anche in prima linea per incidenza dei contaminanti. La stima è che le operazioni estive portino fino a 5 milioni di metri cubi di acque di scarico contaminate nel fiume Kumtor, affluente del Naryn, e da qui nel Syr Darya, uno dei grandi fiumi che attraversano gli Stans. Dall’inizio delle operazioni il progetto non ha brillato per trasparenza di informazione sull’impatto ambientale, ma la popolazione locale ha avuto immediato riscontro della presenza di inquinanti attraverso la riduzione del pescato. Inoltre una serie di incidenti, tema così caldo nell’industria di estrazione mineraria, ha funestato la storia di Kumtor. Nel 1998 un incidente portò una fuoriuscita di cianuro e cianuro di sodio, seguiti da 70 litri di acido nitrico a distanza di pochi mesi; due anni dopo ammonio nitrato. Drammatici anche gli episodi legati ai crolli in miniera, come quelli del 2002 e del 2006, con crolli di grosse entità. La questione ambientale legata alla valutazione di impatto ha portato a manifestazioni culminate nel 2013 con la dichiarazione dello stato di emergenza da parte del governo centrale. Le misure adottate dal governo a tutela dei ghiacciai escludono i ghiacciai Davydov e Lysyi, che rientrano nell’area di operazione della miniera. Una risorsa economica importante per il paese, ma il cui sfruttamento rimane molto problematico.

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