Gli affari delle mafie nella discarica di Borgo Montello a Latina

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28 gennaio 2020
Ci avevano visto giusto il Clan dei Casalesi e uno sconosciuto faccendiere campano, oltre trent’anni fa, quando decisero di comprare dei terreni agricoli a Borgo Montello a due passi da Latina, al confine tra Aprilia e Nettuno (primo Comune del Lazio sciolto per mafia circa 10 anni fa). Al tempo quei terreni erano adiacenti e oggi invece ricompresi nella quarta discarica più grande d’Italia. Le mafie già allora sapevano bene che qualcuno quei terreni se li sarebbe dovuti ricomprare a un prezzo molto più alto, pur di continuare a fare affari con lo smaltimento dei rifiuti. Non a caso i Casalesi si erano inseriti in quegli anni nell'affare degli smaltimenti illegali dei rifiuti industriali e tossico-nocivi, realizzati soprattutto con la distrazione garantita dalle istituzioni preposte al controllo, in particolare dalla Regione Lazio, sul grave inquinamento prodotto da quella discarica la cui bonifica sempre promessa non è stata mai realizzata. Affari conclusi con le emergenze ambientali create a tavolino da una politica che ha smarrito il confine tra legalità e illegalità. Esse prevedono che i governi di turno degli Enti locali preposti non facciano nulla per avviare una raccolta differenziata efficace, a dispetto di quello che impone l’Ue da oltre venti anni. Per tale motivo la Regione Lazio è interessata dal 2012 da una procedura di infrazione delle direttive comunitarie attualmente sospese ma non revocate. Si lasciano così le città in una condizione perennemente critica sul piano ambientale e sanitario (Roma oggi, come Napoli ieri e Milano l’altro ieri) poi amplificata dalla stampa e dai media a servizio degli stessi poteri che da sempre governano questo tipo di processi. La Relazione della Commissione bicamerale d’inchiesta sullo smaltimento illegale dei rifiuti e reati connessi del 2000 fa bene il punto su questo sistema criminale. Poi basta attendere l'esasperazione della popolazione per lo schifo quotidiano che ha davanti ai propri occhi e il gioco è fatto: scatta l’emergenza con tutti i poteri attribuiti ad un Commissario Straordinario che decide dove e come collocare i nuovi invasi, individuandoli però negli stessi siti già accaparrati, guarda caso, dal “cartello” dei poteri già individuati da quella Relazione vent’anni fa. È un gioco che l’amministrazione comunale di Latina di Coletta cerca di contrastare dall'estate del 2016 e che invece il “cartello” sta cercando di riproporre proprio a Borgo Montello. Una situazione che determinerà lo scontro diretto tra gli Enti preposti. Le motivazioni dello scontro si trovano nell’altra Relazione approvata all’unanimità il 20 dicembre 2017 dalla Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti su Roma e nel Lazio, che ha dedicato un capitolo specifico alla discarica di Montello e alle società che l’hanno gestita in tutti questi anni. Tra i criminali interessati alla discarica si possono ricordare i cugini Schiavone, Carmine e Francesco (detto “Sandokan”), all’epoca capi del Clan dei Casalesi nel ruolo di cassiere e di esecutore materiale dei efferati omicidi, che per primi nel 1989 comprarono 16 ettari di vigneto in Via del Pero, a Montello. Carmine Schiavone è poi divenuto il primo pentito di Camorra, mentre il cugino Francesco Schiavone deve scontare in carcere due ergastoli. Dell’acquisto in questione faceva parte anche un’abitazione dove il Clan vi aveva trasferito Michele Coppola (cognato di Walter Schiavone, a sua volta fratello di “Sandokan”) per controllare che gli affari procedessero bene. A gestire lo smaltimento illegale c’era Antonio Salzillo, nipote del fondatore della cosca Antonio Bardellino e finito ammazzato come lo zio, imbottito di piombo nel marzo del 2009. Salzillo prendeva 500mila lire per ogni bidone di rifiuti industriali e tossico-nocivi smaltiti nella “pancia” della discarica di Montello. Tutti i beni acquistati dalla cosca nel 1989 furono intestati a un loro cugino, Antonio Schiavone, all’epoca incensurato: un accorgimento che si è rivelato utile per concludere l’affare, malgrado l’impegno delle forze dell’ordine e della Magistratura. La progressione degli affari ha previsto che quei terreni sequestrati dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli siano stati poi dissequestrati e acquistati direttamente dal “cugino incensurato” degli Schiavone dalla Indeco Srl, società del gruppo Green Holding che gestisce alcuni invasi della discarica. Sugli immobili acquistati la Indeco vorrebbe realizzare una struttura per il Trattamento Meccanico-Biologico (TMB) di rifiuti indifferenziati, con annesso impianto di compostaggio di rifiuti organici. Il relativo progetto è fermo alla Regione Lazio da anni, mentre il Comune di Latina afferma che senza la preventiva e obbligatoria bonifica di tutto il sito, quel progetto non può trovare luce. C’è però molto di più in questa storia di investimenti apparentemente inutili che dopo molto tempo si trasformano in affari colossali di cui solo a Roma qualcuno non si accorge.

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