Libia come un inferno, l’Italia sposa il negazionismo

Giornalista, già responsabile delle edizioni regionali e vice capo redattore della cronaca di Roma de Il Messaggero, ha approfondito i problemi dell’immigrazione.
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04 febbraio 2020
L’Italia ha prorogato il memorandum d’intesa firmato con la Libia nel febbraio 2017, con il governo Gentiloni, ministro degli interni Marco Minniti, che assegna a Tripoli il compito di bloccare a terra o ricondurre indietro i migranti, dopo averli intercettati e fermati nel Mediterraneo. In sostanza, un patto di respingimento di massa. Ad ogni costo. Un patto che riconsegna migliaia di persone all’inferno da cui avevano tentato di scappare. Ignorati tutti gli appelli delle associazioni umanitarie e delle principali e più prestigiose Ong, che hanno illustrato con rapporti di fuoco cosa accade nei lager libici. Ignorate le relazioni altrettanto dure fatte dalla missione Onu e dall’Unhcr in questi anni: quelle relazioni che hanno indotto la Corte Penale Internazionale ad aprire un’inchiesta sulla Libia e su chi ha creato e contribuisce a mantenere in piedi le condizioni in cui è maturato e continua sempre più feroce il calvario a cui sono condannati profughi e migranti. Ignorato anche l’appello lanciato, proprio alla vigilia della scadenza del memorandum, da Dunja Mijatovic, la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Eppure, proprio grazie a queste denunce e alle centinaia, migliaia di testimonianze di chi è riuscito a fuggire, nessuno oggi può dire di non conoscere qual è la realtà della Libia. Ma tant’è: per l’Italia la Libia deve restare il “nostro gendarme” per il controllo dell’emigrazione. A prescindere dalla sorte dei migranti. Anzi, questo ruolo assegnato a Tripoli è stato rafforzato dall’accordo firmato a La Valletta nel settembre 2019 tra Italia, Malta, Francia e Germania: accordo che introduce, è vero, il principio della redistribuzione quasi automatica dei profughi/migranti salvati nel Mediterraneo e portati in Italia o a Malta, ma che prevede anche non solo di confermare il compito di gendarme alla Libia, ma di estenderlo eventualmente a tutti gli altri Stati della sponda sud del Mediterraneo: Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco. Senza dimenticare i decreti sicurezza approvati dal governo” gialloverde”, con Giuseppe Conte presidente, e che il governo “giallorosso”, sempre con Conte presidente, finora si è guardato bene dall’annullare o quanto meno modificare. Se non altro nelle parti messe sotto accusa dal presidente della Repubblica.
C’è da interrogarsi sulle ragioni di questa scelta. C’è da chiederselo proprio perché nessuno oggi può onestamente affermare di non sapere cosa accade giorno per giorno, ora per ora, in Libia. Evidentemente l’Italia preferisce rifiutarsi di vedere. Si volta dall’altra parte, sposando di fatto il negazionismo di chi sostiene che quello dei profughi in Libia sarebbe un “falso problema”, una “montatura”. Quel negazionismo imperante tra diverse forze politiche e sui social. Spesso becero. Sempre inumano. Basterebbe ascoltare qualcuna delle tantissime testimonianze dirette dei profughi per rendersi conto di quanto sia colpevole questo agire. Di quanto sia complice e colpevole anche l’indifferenza. Tra i tanti proponiamo il messaggio lanciato da Francesco Piobbichi , un operatore di Mediterranean Hope che “racconta la frontiera” con i suoi pastelli ed ha raccolto la drammatica storia di Segen Tesfalidet Tesfom, un ragazzo eritreo morto nel marzo del 2018 poco dopo lo sbarco in Italia. E, soprattutto, come fa Francesco Piobbichi, proponiamo, un testo scritto da quel ragazzo e trovato nelle sue tasche quando la vita lo ha abbandonato. Parole che suonano come il suo testamento. E un atto d’accusa contro chi si ostina a non voler ascoltare e vedere.
di Francesco Piobbichi
Mentre le iene urleranno il loro odio vedremo gli ipocriti sventolare le loro bandiere arcobaleno per abbellire l’infamia. A noi spetta il dovere della verità e della resistenza. A noi spetta il carico del racconto, perché né i razzisti, né gli ipocriti ricorderanno domani quello che fanno oggi. Segen l’abbiamo tirato su dal mare che non sembrava fatto di carne ma di polistirolo. Talmente consumato da fame e malattia che avevamo paura di romperlo. Quando lo abbiamo pesato, pesava 35 chili. Quando sulla Open Arms gli abbiamo chiesto cosa gli era successo, ci ha risposto che era stata la Libia. I migranti parlano della Libia come se fosse una bestia, un ragno che li avvolge e gli succhia la vita. Segen Tesfalide Tesfom morirà il giorno dopo aver messo piede in Italia, perché consumato dal lager dove l’avevano recluso. Un martire ucciso dalla guerra dei ricchi contro i poveri. Nella sua tomba ho messo un disegno con una piuma di libertà cinta da filo spinato, perché memoria e denuncia del presente siano saldi.
Nel suo portafoglio sono state trovate due poesie. Una di queste sembra scritta da Primo Levi. Trovate in essa tutta la tensione e il senso di abbandono di un ragazzino che sta morendo chiuso in un lager. Si chiama “Tempo sei maestro”. Eccone il testo:
Tempo sei maestro
Tempo sei maestro/ per chi ti ama e per chi ti è nemico,/ sai distinguere il bene dal male,/ chi ti rispetta/ e chi non ti dà valore./ Senza stancarti mi rendi forte,/ mi insegni il coraggio,/ quante salite e discese abbiamo affrontato,/ hai conquistato la vittoria, ne hai fatto un capolavoro./ Sei come un libro, l’archivio infinito/ del passato/ solo tu dirai chi aveva ragione/ e chi torto,/ perché conosci i caratteri di ognuno,/ chi sono i furbi, /chi trama alle tue spalle,/ chi cerca una scusa,/ pensando che tu non li conosci./ Vorrei dirti ciò che non rende l’uomo/ un uomo./ Finché si sta insieme tutto va bene, ti dice di essere il tuo compagno d’infanzia/ ma nel momento del bisogno ti tradisce./ Ogni giorno che passa gli errori/ dell’uomo sono sempre di più,/ lontani dalla Pace, presi da Satana,/ esseri umani che non provano pietà/ o un po’ di pena,/ perché rinnegano la Pace/ e hanno scelto il male./ Si considerano superiori,/ fanno finta di non sentire,/ gli piace soltanto apparire agli occhi del mondo./ Quando ti avvicini per chiedere aiuto/ non ottieni nulla da loro,/ non provano neanche un minimo dispiacere,/ però gente mia, miei fratelli,/ una sola cosa posso dirvi:/ nulla è irraggiungibile,/ sia che si abbia tanto o niente,/ tutto si può risolvere/ con la fede in Dio./ Ciao, ciao./ Vittoria agli oppressi.

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