Intervista a Mario Leone sul processo di integrazione in Europa nell’era post pandemia

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06 giugno 2020
Compresa la dotazione della Pianificazione che l’Unione si è data per combattere la crisi sanitaria, economica e finanziaria dovuta al Covid 19, con i vari strumenti in campo, e il Next Generation EU.
Vi è un’altra discussione nel dibattito europeo, quella di un vero rilancio del processo di integrazione comunitaria.
Ne parleremo con il dott. Mario Leone, giurista e dirigente del Movimento Federalista Europeo, vice direttore dell’Istituto per gli Studi Federalisti Altiero Spinelli, autore del libro “ La mia solitaria fierezza” (Atlantide editore), biografia proprio su Altiero Spinelli, coautore del Manifesto di Ventotene.
A che punto è il cantiere Europa, dott. Leone ?
Ha detto bene, “cantiere” è la definizione giusta di questa costruzione dell’unità europea che dura ormai da 70 anni, da quella dichiarazione del ministro degli esteri Schuman che per la prima volta, dopo i rimandi più idealmente storici che concreti di Churchill ad “una sorta di Stati uniti d’Europa”, “sdogana” la federazione europea come strumento istituzionale per garantire la pace dopo 2 guerre mondiali che hanno devastato la società europea. Siamo ancora lontani dall’obiettivo programmatico scritto nel manifesto di Ventotene di Spinelli e Rossi quando si metteva in risalto la necessità di un salto ideologico non svincolando l’obiettivo della ricostruzione italiana da quello europeo, perché il primo senza il secondo sarebbe stato un inutile tentativo di salvaguardare un’indipendenza nazionale sterile e antistorica. Pur davanti grandi progressi, dobbiamo ancora completare (e integrare davvero) la politica economica a livello europeo, bilanciando la federalizzazione della politica monetaria con una vera governance economica europea.
Come giudica l’attuale pianificazione di provvedimenti per contrastare la crisi da Covid 19?
La risposta dell’UE è stata quasi immediata. Tolte le prime motivate critica alle frasi della presidente della BCE Lagarde, la Banca centrale ha agito con una manovra incredibile ampliando il proprio programma d’acquisto di titoli, addirittura facendone uno ad hoc per la pandemia da 750 miliardi. Questa unitamente all’APP (il programma ordinario già avviato da Draghi) ha messo sul piatto una reazione importante che fino alla fine del 2020 vedrà la BCE impegnare 1000 miliardi di euro. Ma se dal lato della politica monetaria qualcuno ha battuto un forte colpo, dal lato della politica fiscale europea soltanto ieri (27 maggio) dopo un mese e mezzo di trattative. Dopo aver avviato strumenti extra Trattati UE come il MES che comunque concede una linea di credito pandemica privilegiata e incondizionata (in quanto a effetti ben noti in passato), rinforzato la capacità della BEI con ulteriori 100 miliardi, avviato lo SURE per la disoccupazione, la Commissione europea ha “svelato” le carte mettendo sul tavolo una proposta decisiva per alimentare una nuova (e speriamo) decisa fase per una politica fiscale europea, con un bond UE garantito dal bilancio comunitario che vede proprio nella Commissione, organo esecutivo, rispondere in prima persona e non i governi nazionali del recupero di liquidità sul mercato per aiutare i paesi in difficoltà, in particolare Italia e Spagna.
Abbiamo bisogno di più integrazione? E come si risponde al populismo anti europeista in particolare nei sistemi politici come quello italiano o ungherese?
Sì, abbiamo non solo bisogno di una maggiore integrazione, abbiamo bisogno di cambiare passo rispetto alle competenze, al gradodi concorrenza o meno nelle decisioni di più forte impatto e coinvolgenti interessi superiori, che riguardano “beni” pubblici europei che altrimenti o non potrebbero essere garantiti alle collettività nazionali o non potrebbero essere efficaci al solo livello nazionale. Il caso della crisi pandemica è esemplare, pur essendo già passati come UE da una crisi economica, conseguente al crollo del mercato finanziario americano, nel 2009 e da una crisi ulteriore come quella migratoria nel 2015. Purtroppo, non abbiamo imparato la lezione della storia. La solidarietà dovrebbe (condizionale d’obbligo) essere quella parola non “magica” ma semplicemente connaturata prima che ai Trattati UE nell’animo dei cittadini europei. Solidarietà e pace sono state le garanzie più importanti emerse, come esigenze imprescindibili, dalla fine della Seconda guerra mondiale. Queste rappresentano peraltro due pilastri di condotta quando si parla anche di diritti. Durante le crisi sono proprio questi ad essere calpestati: l’UE non può permettersi il lusso che per necessità di intervento si distrugga la base della convivenza violando lo stato di diritto. Orban in Ungheria ha provato – profittando dell’emergenza pur essendo un paese l’Ungheria non esattamente stravolta dal Covid-19 – a prendere le redini del potere legislativo d’emergenza sanzionando temporaneamente, la passione della visione del “capo”. Non è l’unico Paese che ha rischiato ma rischia ancora, di mettersi da solo fuori dalla democrazia europea, basti guardare agli attacchi all’autonomia dellagiustizia subiti dal potere esecutivo in Polonia. Benifici e merito dovrebbero procedere sempre a braccetto, tu rispetti il diritto europeo? Ebbene ha a tua volta possibilità di beneficiare, ad esempio, dei fondi strutturali europei. E con il nuovo bilancio, che speriamo, sarà presto arricchito fino a quasi 2 mila miliardi del quadro finanziario pluriennale le risorse per la crescita saranno importanti: proprio l’Ungheria avrà 15 miliardi disponibili tra sovvenzioni e prestiti da poter usare. Condizioniamo questi fondi al rispetto dello stato di diritto.
Ci può parlare del suo libro su Altiero Spinelli, della sua figura, e dell’attività che svolgete per la diffusione di conoscenza del processo di unità europea?
“La mia solitaria fierezza”, è il titolo che abbiamo scelto per il volume che ho scritto nel 2017, partendo dai documenti conservati presso l’Archivio di stato di Latina su Altiero Spinelli. La fierezza è quella di un uomo che ha passato 10 anni in carcere e 5 al confino tra Ponza e Ventotene fino al luglio del 1943 per aver messo al centro della sua opposizione al fascismo, e non solo al fascismo perché dissidente comunista, l’uomo. Il testo del Manifesto, il progetto per una Europa libera e unita scritto nel 1940-41 con Ernesto Rossi, un giellista illuminista allievo di Salvemini e corrispondente con l’illuminante Einaudi, esordisce così: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita.” E lui, Spinelli, ha incarnato questa figura di libertà, “fiero” del suo ingresso alla cittadella democratica con un progetto rivoluzionario in mano per la costruzione della federazione europea,e“solo”, accompagnato in quel viaggio che lo vedrà protagonista fino alla sua morte, da 3 o 4 amici (con Rossi ricordiamo anche Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann poi divenuta moglie di Altiero). Spinelli ha determinato un orizzonte che ancora i governanti faticano a intraprendere: la realizzazione di un potere sovranazionale democratico fondato sulla centralità del parlamento europeo, su una politica estera e difesa unica, su una politica economica europea. Spinelli nel suo progetto del 1984, a pochi giorni della ricorrenza del quarantennale della fondazione di quel “club del coccodrillo” che ha raccordato figure di pochi parlamentari sul quel progetto, aveva già espresso in un articolato diretto e lineare la possibile struttura di un’Europa prossima alla federazione. Il manifesto di Ventotene si chiude con una frase: “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.”
La via che battiamo come federalisti europei sin dalla fondazione del Movimento federalista (avvenuta a fine agosto del 1943) sappiamo essere tortuosa e ricchissima di ostacoli. Non per questo ci siamo buttati giù. Anzi. Abbiamo sempre rilanciato. Come federalista ma anche come rappresentante dell’Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli ho sempre creduto nella formazione dei giovani, d’altra parte ho avuto la fortuna di incrociare nel mio percorso di crescita persone che provenivano da questo settore. E proprio su quell’isola che ha visto nascere il Manifesto ogni anno viene realizzato un seminario, immaginato dallo stesso Spinelli e poi realizzato dal MFE prima e poi dall’Istituto Spinelli, nato nel 1987 per ricordarne l’azione. Il seminario è ormai un appuntamento consolidato, nella sua duplice versione nazionale e internazionale, e ospita tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, complessivamente un centinaio di giovani. Approfitto per invitare i giovani a visitare il sito dell’Istituto Spinelli ( www.istitutospinelli.org, ndr) e del MFE ( www.mfe.it, ndr) che ha una componente molto attiva nella sua sezione giovanile, la Gioventù federalista europea.

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