Conversazione con Matteo Ariano, dirigente Cgil Funzione Pubblica nazionale e coordinatore INL-INPS. Innovazione e sostenibilità: la cultura della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

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13 settembre 2020
La gestione della “Salute e Sicurezza” in Italia è un tema scomodo per molti operatori delle filiere produttive e per lo stakeholder istituzionale in termini di responsabilità sociale, di cultura della prevenzione, di legalità, e di investimenti in innovazione sociale. Ne parliamo con un esperto di settore, Matteo Ariano, dirigente della Funzione Pubblica Cgil nazionale. Dal 2006 al 2010 svolge attività di ispettore del lavoro presso l’ufficio territoriale di Venezia del Ministero del Lavoro, quindi si trasferisce a Roma, dove svolge attività di verifiche sull’impiego dei fondi comunitari sempre per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Dal 2016 segue, come delega per la Funzione Pubblica CGIL nazionale, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro e l’INPS. Ha collaborato ad alcune riviste telematiche occupandosi, in particolare, del miglioramento dell’efficienza dell’attività ispettiva sul mercato del lavoro.
Dal suo osservatorio come è cambiato il concetto di salute e sicurezza post Covid in Italia?
La situazione di crisi derivante dal Covid ha scosso molti equilibri preesistenti e può essere davvero l’occasione per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, a cominciare dal loro diritto – costituzionalmente tutelato – alla salute. La principale lezione che dovremmo imparare dal COVID è che il virus non guarda in faccia a nessuno: non fa distinzioni di sesso, religione, etnia, opinioni politiche o sindacali, non guarda il tipo di contratto di lavoro che hai e, ancor prima, se hai un regolare contratto di lavoro. Questo comporta, a mio parere, la necessità di uscire dagli steccati in cui ci si vorrebbe infilare e fare, invece, dei ragionamenti più ampi, a tutela di tutti. Detto in una sola parola, e prendendo a prestito il titolo di un libro di un’autrice a me molto cara: nessuno si salva da solo. E’ questa la principale lezione che il COVID dovrebbe insegnarci.
Nell’ambito dei pezzi di Pubblica Amministrazione che seguo, la salute e la sicurezza dei lavoratori non erano stati, fino ad ora, temi centrali, e anche nell’ambito della contrattazione decentrata lo spazio destinato a questo tema era pressoché nullo. Forse un’eccezione è rappresentata dall’INPS, in cui ha avuto rilievo il tema della sicurezza dei lavoratori in relazione ai diversi episodi di aggressione che si sono verificati ai danni di svariati lavoratori dell’Istituto. In quel caso, posso dire che come FP CGIL siamo stati i primi e i soli, qualche anno fa, a chiedere con forza all’Istituto di aggiornare i suoi Documenti di Valutazione del Rischio, valutando anche l’inserimento del rischio da aggressione. Una cosa simile è accaduta di nuovo nei mesi scorsi, nel momento in cui abbiamo chiesto sia l’inserimento del rischio biologico, ma anche l’aggiornamento dei DUVRI, i Documenti di Valutazione dei Rischi Interferenziali. Non voglio parlare in modo tecnico e quindi faccio un esempio che mi permette anche di riallacciarmi a quanto ho detto all’inizio: non basta che una Pubblica Amministrazione adotti le misure utili a tutelare i propri dipendenti, se poi non pone caso a quel che altri soggetti fanno in casa sua. Ad esempio, le ditte di pulizia quali misure adottano a tutela dei propri dipendenti, quando questi vanno a pulire le sedi di un ufficio pubblico? Se anche questi lavoratori non sono tutelati, il rischio di infezione che intendo cacciare dalla porta, rientrerà dalla finestra. Ecco, quindi, la necessità di stabilire quali siano le misure che vanno adottate dalle altre aziende che operano “in casa mia”, con un documento che è appunto il DUVRI. Da qui la necessità di fare ragionamenti più ampi della sola tutela dei propri dipendenti e, magari, in questo modo, far fare un salto di qualità anche a quelle aziende che erogano servizi alla PA avvalendosi magari di forme contrattuali che tutelano poco o nulla i loro lavoratori e la loro salute e sicurezza. E’ il concetto di contrattazione inclusiva che la CGIL sostiene da tempo, insieme all’idea di uno Statuto dei Lavori che sostituisca in chiave moderna il fondamentale Statuto dei Lavoratori del 1970.
Come giudica il protocollo nazionale sottoscritto dalle parti?
Mi sembra un documento che vuole andare nella direzione che si diceva ora, partendo dalla constatazione che il diritto alla salute è un diritto universale. Ciò su cui dobbiamo però stare attenti è, a mio parere, la straordinaria capacità del popolo italiano di burocratizzare tutto. Può quindi esserci il rischio di trasformare il diritto alla salute in un mero adempimento cartaceo che formalmente fa pensare che la salute dei lavoratori sia rispettata, ma nei fatti non è così, mentre invece l’epidemia ci insegna una cosa, se vogliamo banale, ma fondamentale: così come mutando il quadro epidemiologico, cambiano anche le misure di igiene e salute pubblica da adottare per combattere la diffusione del virus, allo stesso modo la salute e la sicurezza dei lavoratori non è un dato statico, ma è composta da elementi dinamici, che possono cambiare sulla base di una serie di variabili. Quindi, anche le misure che la Pubblica Amministrazione deve adottare non sono sempre le stesse, ma vanno calate nella singola realtà territoriale e adattate al contesto.
Si possono conciliare Salute e Impresa sostenibile?
Nell’epoca in cui viviamo, la libertà di impresa rischia di porsi in collisione con altri beni fondamentali, come il diritto alla salute o la tutela dell’ambiente. Già solo se ci limitiamo a considerare la nostra Costituzione, questa ci dà delle risposte importanti, nella parte in cui precisa che la libertà d’impresa è tutelata se non contrasta con l’utilità sociale. Questo vuol dire che, ad esempio, il diritto alla salute – dei lavoratori e non solo – viene prima della libertà di impresa. Proprio per questo, ho trovato molto discutibili le polemiche secondo cui nei mesi scorsi si sarebbe compressa la libertà di impresa in modo insopportabile. Ritengo giusto, invece, proprio alla luce delle cose dette, che se un datore di lavoro non tuteli salute e sicurezza dei propri dipendenti, vada incontro a una temporanea chiusura dell’attività sino a che non inserisca le misure idonee a garantirle.
A che punto è la riforma dell'INL?
Guardi, non userò mezzi termini: siamo al punto zero. I risultati che finora si sono raggiunti sono insoddisfacenti, per varie ragioni su cui si dibatte da tempo, senza arrivare a una soluzione vera. Quel che davvero servirebbe al Paese è aprire una discussione seria e priva di pregiudizi o retropensieri e svestendosi di varie casacche (siamo sempre il Paese dei Guelfi, dei Ghibellini e del “particulare” di guicciardiniana memoria) su come far funzionare tutta l’attività di verifica sul mercato del lavoro. Il rischio, altrimenti, è che si guardi il dito e non la luna, si ragioni su singoli pezzetti o addirittura sulle virgole e sui punti, ma non si guardi alla funzionalità del sistema nel suo complesso.
Purtroppo, su questo tema dobbiamo registrare l’assoluta mancanza di discussione politica, l’assenza di una visione (cosa che purtroppo caratterizza più in generale questo momento storico) e l’afonia del vertice politico del Ministero del Lavoro, che sembra disinteressato al tema, quasi non fosse di sua competenza.
Trovo tristemente contraddittorio che, nonostante l’art. 1 della Costituzione reciti che l’Italia sia una Repubblica democratica fondata sul lavoro, non si dia poi il giusto rilievo a chi il lavoro deve tutelare.

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