Sciopero unitario dei braccianti agricoli a Latina. Il 28 settembre in piazza della Libertà contro sfruttamento, “caporalato", violenze e insicurezza sul lavoro

PhD in sociologia, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni a.p.s.. Si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata.
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24 settembre 2020
Infortuni anche mortali sul posto di lavoro, suicidi per sfruttamento, violenze fisiche e psicologiche, caporalato, tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo, sofisticazione e nascondimento di pratiche criminali che ripetutamente alcune aziende mettono in campo per evitare problemi sindacali e giudiziari, corruzione e ricatti continui. Queste, in sintesi, le ragioni per cui lunedì 28 settembre, alle ore 10.00, i lavoratori e lavoratrici agricoli della provincia di Latina, insieme a Cgil, Cisl, Uil e relative categorie, si ritroveranno per la terza volta in Piazza della Libertà. Uno sciopero che ricorda quello del 18 aprile del 2016 organizzato dalla Cgil con la comunità indiana del Lazio e che portò per la prima volta oltre 4.000 lavoratori e lavoratrici sotto la Prefettura pontina per chiedere giustizia e libertà dalla tirannia di un padronato e caporalato che produce, insieme a molti complici compresa una diffusa ignavia che ha il sapore del razzismo e della xenofobia, una morsa, a volte mortale, sui diritti umani, civili e del lavoro. Nonostante il Covid (è obbligatorio per tutti i partecipanti indossare la mascherina) e il numero limitato di partecipanti per via della prescrizione, condivisibile, della Prefettura, il diffuso negazionismo da parte di alcuni esponenti politici, la "strategia del fango" messa in campo da imprenditori che pur di continuare ad ottenere profitti milionari negano, insistentemente, infortuni e incidenti anche gravi avvenuti nelle loro aziende e accusano giornalisti e non solo di dire il falso, nonostante i rapporti degli enti interessati, le testimonianze, i video e i controlli effettuati successivi agli incidenti che danno ragione a chi ha fatto della verità l’elemento fondamentale della propria azione di ricerca e di inchiesta, lo sfruttamento e l’insicurezza nel lavoro agricolo costituisca ancora una costante drammaticamente diffusa nel Pontino come in tutta Italia. Nel corso degli ultimi mesi, infatti, diversi lavoratori indiani hanno pagato con la vita o con prognosi importanti questo stato indecente di cose. Per queste ragioni si ritengono condivisibili le ragioni di una mobilitazione e di uno sciopero che, dentro un conflitto democratico, significa capacità di organizzare e rappresentare le ragioni di chi lavora e non viene pagato, maltrattato, picchiato e rischia anche la vita. Uno sciopero che dovrà coinvolgere tutte le organizzazioni, associazioni e cittadini sensibili e consapevoli del problema. Si deve peraltro rammentare che, su questo fronte, merita un plauso la Procura della Repubblica e le Forze dell’ordine perché hanno saputo, nel corso degli ultimi anni, anche in ragione della promulgazione a novembre del 2016 di una nuova e fondamentale legge contro lo sfruttamento e il caporalato (l. 199/2016), intervenire con grande professionalità, arrestando i responsabili di comportamenti criminali e modalità illecite di reclutamento e di impiego di lavoratori. Si ricorda che in alcuni casi questi lavoratori erano obbligati a lavorare sotto la minaccia di armi da fuoco e coltelli, del licenziamento immediato, di violenze fisiche e spedizioni punitive, coi documenti sequestrati, e quando protestavano, anche solo per chiedere di lavorare durante la pandemia, con la relativa mascherina, picchiati e gettati in un fosso, come accaduto a borgo Hermada, nel Comune di Terracina. Una situazione che non può più essere considerata periferica o eccezionale ma sistemica, organizzata e diffusa. Essa è l’espressione proprio di un’agromafia che abbraccia non solo clan e mafie pure presenti e radicati in provincia di Latina, ma comportamenti e interessi che ad essi si ispirano e replicano. Per questa ragione è necessario applicare completamente la legge contro lo sfruttamento (legge 199/16), riforme legislative radicali (delle migrazioni, dell’accoglienza, della cittadinanza e del lavoro) e una migliore macchina dei controlli, performante e rapida, insieme ad un patto civile tra imprese e imprenditori virtuosi e nella legalità, lavoratori e istituzioni. Dal palco si alterneranno interventi di tutti i leader sindacali, dei membri della comunità indiana che porteranno il loro contributo in termini di esperienze, testimonianze e richieste puntuali. Un appuntamento fondamentale, non solo per i lavoratori agricoli ma per il Paese, perché non può esserci progresso senza legalità e giustizia, come non può esserci benessere senza memoria e giustizia. Tempi Moderni parteciperà allo sciopero con diversi suoi rappresentanti e interverrà con il presidente, Marco Omizzolo, da sempre impegnato su questo fronte, portando il suo contributo e avanzando un impegno rinnovato nei contenuti e nelle metodologia perché, anche nell’interesse degli imprenditori onesti, si smetta definitivamente un modello di produzione e sociale fondato sulla subordinazione, sulla falsificazione e sullo sfruttamento conveniente per padroni, padrini, liberi professionisti e una parte della politica locale, nazionale ed europea che da tempo ha deciso di scendere in campo con la scusa di difendere il territorio ma tutelando, in realtà, solo gli interessi dei padroni, loro storici elettori, e di un sistema criminale non più tollerabile.

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