Conversazione con Raffaele Morese, presidente dell'Associazione Nuovi Lavori: in ricordo di Pierre Carniti

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04 dicembre 2020
Sulla base della sua esperienza da sindacalista, esponente politico e per molti anni amico e collaboratore di Pierre Carniti, ci può descrivere la figura di uno dei sindacalisti più importanti che l'Italia abbia mai avuto?
Ho conosciuto Pierre Carniti da studente di economia all’Università Cattolica di Milano; sono stato rappresentante degli studenti dal ’63 al ’66 ed era naturale che si realizzasse un contatto con il sindacato e la CISL in particolare. Eravamo alla vigilia del 1968, un periodo di grande fermento produttivo e sociale, di interminabili discussioni politiche sulla formazione universitaria, sul ruolo politico dei movimenti del sociale, soprattutto giovanili, sul rapporto tra mondo della formazione e quello del lavoro. Saltavano gli schemi politici residui della guerra fredda che dal dopoguerra avevano segnato la giovane esperienza repubblicana dell’Italia.
Fra le tante vicende che caratterizzarono quel periodo voglio ricordare il successo che ebbe l’uscita del libro di Ruggiero Orfei dal titolo “Il Dialogo alla prova”. Per i cattolici si era in pieno clima pre-conciliare, percorso da fervori intellettuali e progettuali. Le prove di confronto tra mondi differenti come quello cattolico, socialista e comunista erano una novità carica di prospettive inedite nel panorama politico italiano, e che proseguì con il settimanale “Sette giorni”.
Capii subito che quel sindacalista, a capo della FIM CISL milanese, stava creando le condizioni per un salto di qualità del sindacalismo italiano, allora minoritario tra i lavoratori e diviso sul concetto di autonomia. In modo semplice e convincente, Carniti spiegava che veniva prima il lavoratore con le sue esigenze di dignità, poi la contrattazione come suo strumento legislativo di conquista di benessere e diritti e quindi il sindacato come soggetto guida di questo mondo e di conseguenza unitario perché solo così sarebbe stato forte, autorevole e identitario. Non solo nella CISL, ma anche nel resto del sindacalismo italiano e nella politica c’era chi considerava questa visione quasi una bestemmia. Ma il tempo gli diede ragione, superando riserve, opposizioni, tentativi di emarginazione.
Per ragioni familiari, non potei restare a Milano dove avrei voluto continuare il mio percorso professionale, nell’ambiente accademico. Mi fu proposto - anche per sollecitazione del professore Mario Romani, mia controparte per conto del Senato accademico della Cattolica e ideologo della CISL - di andare a lavorare a Roma, all’ufficio studi di questa confederazione. Poco dopo, Pierre approdò in Segreteria Confederale, facendo un salto che a nessun sindacalista italiano è mai riuscito: arrivare lì, direttamente dalla base, cioè dalla FIM di Milano. Siamo nel 1968, il conflitto sul destino e il ruolo del sindacato italiano è talmente aspro che nella CISL, per gestire da lì a un anno il Congresso – con un’organizzazione ormai divisa su due proposte, ma che avesse un minimo di garanzie di agibilità - tutti convennero che occorresse la sua presenza. Entrò con una certa riluttanza, ma non stette con le mani in mano. Ricordo uno, per tutti i suoi contributi: il superamento delle gabbie salariali, che differenziavano i salari tra Nord, Centro e Sud.
Da qui incominciò la mia intensa ed entusiasmante collaborazione con lui. Il Congresso fu vinto dalla componete guidata da Storti e Scalia, ma la minoranza era così radicata nel tessuto associativo, che ben presto si trovarono le ragioni di un accordo. A rappresentarla in Segreteria Confederale andò Luigi Macario (altra figura straordinaria del panorama del tempo) e a dirige le FIM nazionale giunse Carniti. E io seguii le sue orme.
Incominciai ad occuparmi di formazione sotto la guida del mitico Pippo Morelli, altro dirigente sindacale di spicco e testa pensante del sindacato moderno e di massa; non a caso terminò la sua esperienza sindacale da direttore del prestigioso Centro studi CISL, a Fiesole. Nello stesso tempo, Carniti mi utilizzò come suo ghostwriter, un lavoro di grande fatica ma di immenso piacere poiché mi consentì di vivere in diretta l’evoluzione delle vicende sindacali con veri fuori classe (Lama, Trentin, Benvenuto, Mattina, Marini, Colombo, Crea, Bentivogli e tanti altri) e molti accademici, amici della CISL: tra questi il prof. Tiziano Treu, futuro ministro del lavoro e attuale presidente del Cnel, il prof. Gian Primo Cella esperto di politiche contrattuali, il sociologo Guido Baglioni professore emerito della Cattolica, l’economista Ezio Tarantelli e soprattutto Bruno Manghi, sociologo del lavoro e dirigente di primo piano della CISL e poi a lungo collaboratore di Romano Prodi. Tutti uomini di elaborazione e di fertilità intellettuale.
Carniti poteva apparire, per il suo rigore morale e la sua caparbietà, un uomo solo al comando, invece era l’opposto. Era un uomo dall’ironia tagliente, carismatico e non malleabile, ma ogni scelta o idea che elaborava era il frutto di un processo di confronto serrato e di dialogo con i suoi collaboratori e con i sindacalisti della sua Segreteria. Insomma non era uomo che improvvisava e soprattutto non amava circondarsi di cortigiani o yesman. E, cosa determinante, ha sempre cercato la validazione delle proposte nel consenso dei lavoratori.
Oltre alle capacità organizzative e alle indubbie doti di contrattualista, Pierre era un uomo di visione, e di capacità progettuale per l’intero movimento sindacale. Seppe dare slancio e guida al conflittualismo nelle fabbriche, negli anni ‘60 e ’70, ma non lo visse mai come fine a sé stesso. Piegò sempre il conflitto sociale - anche quello più aspro - alle esigenze di un’intesa con le controparti, sul solco dell’impostazione data da Pastore facendo nascere la CISL. Ma quando fu il momento di affrontare la dura crisi economica e sociale dell’inizio degli anni ’80, non esitò a dare corpo alla strategia della concertazione tra Governo e parti sociali che portò a storici accordi da quello di S. Valentino del 1984, di cui fu magna pars, fino a quelli del ’92 e del ’93 per il superamento della scala mobile e la definizione di un nuovo assetto contrattuale (Carniti era già fuori del sindacato ma lo sostenne; non a caso Giugni definì quelle intese “la nuova costituzione delle relazioni sindacali”). La convinzione di fondo di Carniti è sempre stata quella di non limitare l’affermazione del rispetto della dignità del lavoratore soltanto sul posto di lavoro (la contrattazione) ma di farlo emergere come classe dirigente (la concertazione) in un Paese a democrazia molto fragile e quindi esposta a tutte le estremizzazioni possibili. Un disegno che entrava in conflitto facilmente con il sistema dei partiti, sia di governo che di opposizione, come praticamente è avvenuto a seguito della rottura dell’unità sindacale.
E il suo rapporto con gli altri dirigenti della FLM, Vigevani, Trentin, per esempio?
Pur essendo uomo di grande temperamento, costruiva rapporti leali e schietti. A lui interessava solo la difesa della dignità del lavoratore e non i traguardi personali o quelli della “ditta”. Fu infatti, tanto unitario da indire un Congresso di scioglimento della FIM (così come fece la UILM di Benvenuto). Il gesto clamoroso, purtroppo, non sortì il risultato atteso perché la FIOM si sottrasse dal procedere nella stessa direzione.
Stimava molto Fausto Vigevani di cui era amico personale; finché Fausto restò tra i metalmeccanici, fu sempre una spalla. Aveva rispetto e collaborava proficuamente con Bruno Trentin. Si ritrovavano abbastanza sulla strategia contrattuale ed industriale, meno su quella politica. Trentin non era un subalterno della politica del PCI, ma non oltrepassò mai la linea di confine del dissenso interno. Si può dire che la sintonia si fermava sulla soglia della radicalità dell’autonomia del sindacato e questo fece sì che la stima reciproca non si trasformò in amicizia.
Inoltre, Pierre aveva in grande considerazione la capacità umana e politica di Luciano Lama nella guida della CGIL. La confidenza si consolidò nella gestione della Federazione CGIL, CISL e UIL traghettandola finché fu possibile sulla strada dell’unità, cioè fino alla rottura del 1984. Ma questo drammatico evento non incrinò l’attitudine a rispettarsi e direi di sentirsi sinceramente amici.
E il suo rapporto con il prof. Ezio Tarantelli?
La relazione con Tarantelli si costruì nel pieno della crisi economica dell’inizio degli anni ’80 e divenne solida ed amicale sulle proposte e le idee che accompagnarono il passaggio dal modello sindacale conflittuale al modello partecipativo. Credo che il prof. Ezio Tarantelli fosse uno dei pochi intellettuali che avesse un rapporto di complicità con Pierre. Eppure, il primo si era fatto le ossa da studioso al servizio della classe operaia, gramscianamente parlando, nella CGIL, e il secondo dimostrò mancanza di pregiudizi, apprezzando soprattutto l’autonomia intellettuale di questo giovane economista.
Tarantelli sarebbe diventato un grande nel suo campo. Si pensi che nel lontano ’83 propose lo Scudo europeo dei lavoratori colpiti dalla crisi, a migliaia licenziati e senza larghe protezioni. C’è voluta una epidemia per sollecitare l’Europa a darsi uno strumento di tutela come il SURE, applicazione appunto della proposta di Ezio.
Le Brigate Rosse capirono che Tarantelli era il simbolo di un sindacato che stava portando i lavoratori ad avere un peso insostituibile nelle decisioni strategiche sul futuro dell’Italia democratica. Lo uccisero brutalmente, per uccidere un’idea riformista vera. Si scavarono la loro fossa. Tarantelli divenne una figura imprescindibile della strada che bisognava percorrere per avere protagonismo nel decennio successivo. Ma tutto questo non bastò a lenire il dolore per questa perdita che restò nell’anima di Pierre.
Ci racconti il rapporto di Pierre con la politica e la militanza?
Sono sempre stato convinto che fare politica fosse un mestiere non adatto ai sindacalisti; tutti i dirigenti sindacali che sono entrati nel tempo in politica o in un partito hanno avuto percorsi difficili. Unica eccezione, Franco Marini e in misura minore Fausto Bertinotti.
La casa di Pierre era la Cisl, l’autonomia il proprio credo. Ovviamente, ricercava rapporti e connessioni con il meglio della politica italiana come con Riccardo Lombardi, Ermanno Gorrieri, Giovanni Marcora, Benigno Zaccagnini, Romano Prodi. Aveva stima di tanti altri, ma la sintonia l’aveva con pochi. Se ne accorse finanche Craxi con il quale firmò l’accordo di S. Valentino, ma che tentò di fargli cambiare idea per non subire il referendum indetto dal PCI di Berlinguer, contrario a quell’intesa. Ebbe ancora una volta ragione l’ostinato Pierre.
La sua formazione culturale era fortemente influenzata dal cristianesimo sociale, da Mounier, Maritain, Don Primo Mazzolari (di casa presso i genitori di Carniti), da Don Lorenzo Milani la cui scuola di Barbiana fornirà molti dirigenti autorevoli alla CISL toscana e a molte categorie nazionali della confederazione; fra i tanti, mi piace ricordare Gesualdi, diventato anche Presidente della Provincia di Firenze.
L’impegno politico fu riversato nell’attività parlamentare in Europa. Frequentò pochissimo gli ambienti politici nazionali. Non si intruppò in nessuna corrente di nessun partito del centro sinistra, pur rimanendo leale interlocutore di questi (prima il PSI, poi PDS e DS). Preferì dedicarsi alla mobilitazione prepolitica, soprattutto dei giovani, fino a quando nacquero i Cristiano sociali. Un’associazione di area cattolica ma non solo. I promotori furono Carniti, Gorrieri e Scoppola. La si può definire con una ficcante definizione di Gorrieri. Un’aggregazione sull’orlo del confine del mondo del cattolicesimo politico, forse l’ultima vera espressione del cattolicesimo sociale organizzato, dopo la fine dell’unità politica dei cattolici.
Carniti, in definitiva, era un uomo prestato alla politica. Quando decise che la sua storia sindacale era giunta al traguardo (forse, l’unica decisione assunta in solitudine) era ancora troppo giovane per appendere le scarpette dell’impegno pubblico al chiodo. Ci fu gara tra i partiti per convincerlo a schierarsi. Lo fece, da non tesserato, soltanto come candidato alle elezioni europee. Cuore e testa li ha sempre avuti verso le ragioni dei lavoratori, dei più deboli e del sindacato e avvolto nelle bandiere della FIM e della CISL sta proseguendo il suo cammino nella storia e nell’aldilà.

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