Intervista a Geri Ballo: firmiamo la petizione “La pensione è un diritto. Sosteniamo l’accordo Italia-Albania”.

PhD in sociologia, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni a.p.s.. Si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata.
Condividi
05 dicembre 2020
Geri Ballo è un'attivista italo albanese e tra le voci più note in Italia per competenza e background migratorio. Alla partecipazione attiva alle mobilitazioni per l’affermazione, difesa e allargamento dei diritti degli immigrati, unisce lo sguardo analitico che troviamo in vari suoi studi e articoli. Dopo sei anni da diplomatico dell’Ambasciata d’Albania a Roma, è tornata all’attivismo sociale e politico co-fondando l’associazione Volare e dedicandosi a progetti sulle diaspore in Italia e in Europa.
Geri Ballo ha lanciato la petizione “La pensione è un diritto. Sosteniamo l’accordo Italia-Albania”, che ha raccolto 9.200 firme, e a cui Tempi Moderni aderisce insieme ad altre associazioni. La petizione può essere firmata cliccando qui: https://www.change.org/p/giuseppe-conte-diritto-alla-pensione-sosteniamo-la-convenzione-italia-albania?recruited_by_id=65e22100-33f8-0130-11e5-3c764e04a404
Perché c’è questa urgenza, con riferimento all’Albania?
L’urgenza nasce dal lunghissimo tempo di attesa che è trascorso. I flussi migratori degli albanesi verso l’Italia iniziarono molti anni fa, l’8 agosto del 2021 saranno 30 anni dall’arrivo a Bari della nave Vlora stracolma di esseri umani, un’immagine che ha fatto la storia e che ha trasformato anche il modo in cui gli italiani vedevano se stessi: non più paese di emigrati nel mondo ma anche di immigrazione. A tanti anni di distanza è in crescita il numero di albanesi in età pensionabile che hanno versato contributi sia in Albania (prima di emigrare) che in Italia. La mancanza di un accordo tra i due paesi non permette loro di arrivare alla pensione né in Albania né in Italia, penalizzando la fascia di popolazione che più si è sacrificata per dare vita all'integrazione modello degli albanesi di cui sentiamo parlare.
Eppure i migranti albanesi hanno storicamente avuto un ruolo sociale, culturale e sempre più anche imprenditoriale in Italia. In qualche modo sono in credito e non in debito con il Paese.
La comunità è profondamente radicata in Italia e ha costruito un percorso virtuoso di inclusione, compreso l’avvio di decine di migliaia di imprese (oltre 32 mila sono solo quelle individuali), produce ricchezza in termini sociali e di competenze, oltre che economici. Per rendere l’idea, parliamo di 430.000 persone con cittadinanza albanese, di cui più del 70% con un permesso di soggiorno di lungo periodo, mentre altre 200.000 persone hanno ottenuto anche la cittadinanza italiana. Questo traguardo non è per nulla scontato visto il percorso a ostacoli delineato dalla legge per la cittadinanza, mai aggiornata se non in senso peggiorativo dai Decreti Sicurezza. Un altro dato significativo è quello degli alunni albanesi nelle scuole italiane (oltre 116.000) e quello degli studenti universitari (9.129), in entrambi i casi il numero più alto tra i non comunitari. Quest’investimento nel futuro è fortemente voluto proprio dai trentenni di inizio anni Novanta – la Generazione Vlora – che hanno fatto i conti con l’assenza del riconoscimento dei titoli di studio e anni di lavori pesanti e senza tutele. Sono gli stessi che oggi si ritrovano ad essere un peso per le famiglie perché non hanno una pensione.
Quali sono i limiti che il nostro sistema politico ha messo in luce in merito a questi problemi?
Intanto è utile segnalare che negli ultimi anni sono diventati migliaia e sono in aumento i lavoratori italiani in Albania. Se non ci sarà la convenzione, si troveranno davanti allo stesso problema degli albanesi di prima generazione appena arriveranno alla pensione. Certamente questo dato può aiutare a sensibilizzare quei politici convinti che i diritti debbano essere riconosciuti prioritariamente a chi ha la cittadinanza italiana. Perché – al netto dell’accusa di sforzi insufficienti profusi per l’accordo, spesso mossa alle istituzioni dell’Albania dagli immigrati qui – è chiaro che ad oggi la piena volontà politica è mancata da parte dell’Italia. Parlo di quella volontà che porta un impegno preso in un incontro bilaterale a diventare azione politica concreta con un budget dedicato. Questo è tanto più insopportabile se pensiamo che la copertura finanziaria in questione è costituita dai contributi versati da questi cittadini, perciò non sarebbe altro che il superamento di un’ingiustizia di fatto.
Cosa è utile fare per chi non si accontenta della rassegnazione?
Sostenere le azioni, anche politiche, intraprese per raggiungere l’obiettivo. Qui segnalo l’impegno del senatore Tommaso Nannicini, che per il secondo anno consecutivo ha presentato in Legge di Bilancio un emendamento destinato a dare copertura finanziaria alla convenzione. Parallelamente è importante firmare la petizione che abbiamo collettivamente lanciato e promosso sulla piattaforma change per chiedere ai ministri italiani competenti di ascoltare la voce degli albanesi d’Italia e delle persone che hanno a cuore l’allargamento dei diritti di tutti. Inoltre grazie all’associazione Volare e all’attivismo di molte persone, sia albanesi che italiane, abbiamo messo in rete i più grandi sindacati italiani per portare avanti insieme questa battaglia.

Leggi anche