“Bella Ciao” accompagna la protesta dei contadini indiani, soprattuto sikh, contro le politiche agricole del governo di Modi.

PhD in sociologia, presidente della coop. In Migrazione e di Tempi Moderni a.p.s.. Si occupa di studi e ricerche sui servizi sociali, sulle migrazioni e sulla criminalità organizzata.
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17 dicembre 2020
Bella ciao”, la canzone della resistenza italiana e di tutto il mondo contro ogni sopruso, violenza, politica di dominio, accompagna anche le manifestazioni di queste ultime settimane in India dei contadini, soprattutto sikh.
Manifestazioni che hanno compreso anche uno sciopero generale (“bharat bandh”) contro le recenti leggi sulla liberalizzazione del commercio agricolo, approvate a fine settembre dal governo guidato dal primo ministro Narendra Modi. Le proteste erano iniziate circa tre mesi fa, ed erano culminate con l’enorme marcia su Delhi dello scorso 26 novembre.
Una lunga marcia di contadini e agricoltori provenienti soprattutto dal Punjab, Haryana, Utter Pradesh, Chhattisgarh, Uttarakhand e Himachal Pradesh, con milioni di persone che hanno ricordato al governo indiano che "senza cibo non c'è vita". Secondo molti autorevoli leader e giornalisti, si tratta della protesta più importante che il presidente Modi si è trovato finora ad affrontare.
Quello stesso leader che inizialmente considerava i partecipanti e chiunque prestasse loro solidarietà un "terrorista".
Gli agricoltori costituiscono quasi la metà dell’intera popolazione indiana. Sono infatti circa 650 milioni e costituiscono un centro di tradizioni, elaborazioni politiche e di impegno straordinario che nessun governo può sottovalutare. Le reazioni iniziali del leader indiano sono state sprezzanti e spesso hanno previsto l'uso della forza contro i contadini, comprese le donne. Un atto di viltà e di prepotenza, che dà alla canzone "Bella ciao" una coerenza specifica contro politiche neoliberiste e azioni di questa natura, che spingono i contadini a perdere la battaglia della rappresentanza e così anche politica, rispetto ai grandi major economici globali che rischiano di dominare il mercato del food a livello mondiale e in maniera definitiva.
Le politiche del governo indiano colpiscono una classe agricola già in grandi difficoltà. Si consideri che circa il 52% dei contadini indiani ha una forte esposizione debitoria con banche e istituti finanziari, tanto che non mancano continui suicidi per debito e disperazione. Tra il 2018 e il 2019 si sono suicidati infatti più di 20.00 agricoltori, ossia l’11,2% dei suicidi totali del paese.
Le politiche di liberalizzazione di Modi non sono il frutto della sua esclusiva volontà ma derivano da quelle avanzate e sostenute dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Nel primo decennio di applicazione di queste politiche (1995-2001), che hanno introdotto il libero mercato internazionale, si è assistito infatti a una grave contrazione dei prezzi dei prodotti agricoli e a forme di disprezzo per il lavoro contadino che hanno prodotto conseguenze gravi come aumento dei suicidi, compromissione degli ambienti naturali e migrazioni indotte anche da questo sistema perverso. Si aggiunga che queste politiche hanno permesso la creazione di monopoli di mercato controllati da una manciata di corporazioni, prima tra tutti la Monsanto, che si adoperano affinché il Governo di Nuova Delhi adotti politiche a loro favorevoli. Ancora una volta "Bella ciao" viene a proposito.
Vedremo come andrà finire. Intanto Tempi Moderni sta dalla parte dei contadini, indiani e non solo, nel merito e con convinzione, contro ogni atteggiamento e politica padronale, di speculazione e di compromissione dell'agricoltura e dell'ambiente.

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