Conversazione con l'On. Rossella Muroni su ambiente e Agenda 2030. Progettare un nuovo modello di sviluppo?

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore magna aliqua. Ut enim ad minim veniam, quis nostrud exercitation
Condividi
16 febbraio 2021
Digitalizzazione, trasformazione del lavoro, transizione energetica concetti che richiamano un nuovo modello di benessere e un nuovo modello produttivo verso un’economia più civile e verde.

Come giudica la proposta del Recovery Plan inviato al Parlamento dall’esecutivo?

Premesso il momento di emergenza e le difficoltà di gestione di questa complessa situazione, a livello europeo la pandemia ha determinato una accelerazione e aperture inedite. Penso, ad esempio, alla sospensione del Patto di Stabilità, al fondo Sure contro la disoccupazione e al sostegno del Next Generation Eu. E ovviamente al Green deal, con gli obiettivi climatici della riduzione delle emissioni (nette) di almeno il 55% al 2030 e della neutralità climatica al 2050. La base per l’affermazione di un nuovo modello di sviluppo, innovativo equo e sostenibile, per la necessaria e attesa rivoluzione verde.

La proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza messo a punto dal governo Conte II ha introdotto alcune modifiche positive rispetto alle prime bozze circolate. Ha, ad esempio, aumentato portandoli a 19,7 miliardi gli investimenti per la salute e la sanità pubblica, accantonando l’idea di una task force esterna al governo e alla Pubblica amministrazione per la governance. Ma è ancora debole, dal punto di vista della visione complessiva e della coerenza interna.

Sul campo strategico delle rinnovabili la proposta resta al di sotto delle aspettative e delle necessità che impongono la crisi climatica, il nuovo target europeo di riduzione delle emissioni al 2030 e l’Accordo di Parigi. Investe sulla generazione pulita di energia, ma molto meno in reti intelligenti e sistemi di accumulo, che invece sono indispensabili per la transizione energetica. Dice qualcosa rispetto alla questione della gestione dei rifiuti, degli impianti e della riduzione del consumo di risorse grazie all’uso di materie prime seconde, ma non coglie quanto la prospettiva di sviluppo legata all’economia circolare sia strategica nella sfida del clima.

Come evidenziato dal Forum Disuguaglianze Diversità, inoltre, la maggioranza dei progetti inseriti nel Piano è priva dell’indicazione dei “risultati attesi”, mentre sul fronte della partecipazione questa è mancata completamente e solo dopo l’invio del Piano al Parlamento è iniziato un confronto con sindacati, imprese, associazioni, forze politiche e parti sociali.

A che punto siamo in Italia sul versante sviluppo sostenibile e obiettivi Agenda 2030?

Passi in avanti sono stati fatti, ma non credo centreremo gli Obiettivi di Sviluppo sostenibile (SDGs) nel 2030. Purtroppo nel sistema Paese abbiamo poca cultura ambientale, poca consapevolezza del fare impresa di qualità e anche per questo è importante che gli SDGs restino la nostra bussola nelle decisioni della politica e di sviluppo, nelle decisioni sul nostro futuro e anche nelle scelte di acquisto di tutti noi cittadini.

Sviluppo sostenibile significa non solo un’economia rispettosa dell’ambiente e degli ecosistemi, ma anche dell’uomo e un lavoro innovativo, di qualità e dunque più competitivo e duraturo. Sono ormai molti gli studi che dimostrano che essere buoni conviene, che le imprese green resistono meglio alla crisi, che le imprese attente alla coesione, alla sostenibilità economica sociale ed ambientale tracciano la strada del futuro. Una politica industriale innovativa, già adottata ad esempio in Germania. Dove la riconversione industriale ha portato alla creazione di nuovi posti di lavoro ed è stata supportata da un’efficace rete di ricerca applicata e di base con distretti industriali e scientifici, da sistemi duali formativi e di riqualificazione professionale, forti investimenti in energia verde e da una regia mista pubblica privata. Un modello cui ispirarsi, che può aiutarci a superare la vecchia contrapposizione ideologica pubblico/privato e a definire uno sviluppo sostenibile e partecipativo.

Su un tema a lei caro, ossia scuola e formazione, ci chiarisca la sua proposta di avanguardia educativa?

Non parlo solo da deputata, ma da genitore. Stiamo rischiando di perdere una generazione intera di bambini e ragazzi in termini di isolamento sociale e costi psicologici - per non parlare dei costi in termini di capitale umano - a causa della pandemia, delle strategie contenitive di distanziamento sociale e del massivo utilizzo della Didattica a distanza. Che dovremmo chiamare piuttosto didattica di emergenza visti gli evidenti limiti dimostrati da questa modalità di didattica e le disparità nell’accesso alla rete e ai divide tra gli studenti. Perché funzioni davvero la didattica a distanza, e per tutti, bisogna superare il digital divide e garantire a tutte le bambini e a tutti i bambini un dispositivo da cui poter seguire le lezioni. E bisogna formare i docenti a questo diverso tipo di insegnamento. Così come è indispensabile continuare il grande sforzo fatto durante i mesi estivi per adeguare l’edilizia e gli spazi scolastici alle esigenze di spazio imposte dal coronavirus.

Questo periodo sta segnando profondamente il mondo della scuola, aprendo un confronto sulla necessità e le opportunità di contrastare le disuguaglianze e ripensare i metodi di insegnamento.

C’è stata anche la presa di coscienza della centralità del territorio e delle comunità per costruire un sistema educativo di prossimità che vada oltre il luogo fisico della scuola, che al centro abbia le persone e patti di corresponsabilità, chiamando in causa anche il mondo del terzo settore. Per restituire tempi e spazi educativi e sociali ai quasi dieci milioni di minori che da marzo fino a settembre sono stati privati della scuola in presenza e che dopo settembre ne hanno potuto beneficiare in parte o a intermittenza. Con l’ambizione di alzare la coscienza civica, la creatività, il sapere sistemico e il livello medio culturale dei cittadini, almeno quelli di domani. Poiché persone e individui meno formati, provocano un vulnus nell’informazione e nella formazione dell’opinione pubblica, facendo venire meno la prossimità della democrazia.

Leggi anche