La politica quasi estera del nuovo governo armeno

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13 luglio 2019
La Rivoluzione di Velluto del 2018 ( www.tempi-moderni.net/2018/04/20/tensioni-ai-bordi-deuropa-che-succede-in-armenia/) che ha portato al potere in Armenia Nikol Pashinyan ha creato grosse aspettative nel paese: più giustizia, la lotta alla corruzione, il rilancio economico del paese (http://www.tempi-moderni.net/2018/05/04/fra-iran-turchia-azerbaijan-la-rivoluzione-dove-meno-te-laspetti/) . Mantenere queste promesse è una sfida difficile, e in almeno un caso ha portato a svolte che all’epoca della pacifica e sorprendente Rivoluzione di Velluto erano del tutto imprevedibili.

Una politica quasi estera

Un passo indietro: dalla fine del conflitto nel 1994 l’Armenia e il Nagorno Karabakh sono legati a doppio filo. L’Armenia non ha mai riconosciuto il paese, ma ne è il garante a tutti gli effetti, per sicurezza, economia, relazioni con l’estero. Due entità politiche – di cui una riconosciuta internazionalmente come stato sovrano e l’altra non riconosciuta – sono come due gemelli siamesi mai divisi. Sono due piccoli punti nel grande quadro geopolitico, uno di circa 150.000 residenti, l’altro 10 volte tanto, ma è un conflitto che ha spaccato in due una regione intera, il Caucaso del Sud. E l’influenza fra i due è stata reciproca, anche se per dimensioni e peso politico vi è una netta differenza. La sopravvivenza del Nagorno Karabakh passa per la contiguità, il territorio, e la tutela armena. L’Armenia ha orientato l’intera politica estera a servizio della preservazione del Karabakh, per via del Karabakh sono sospese le relazioni con la Turchia e chiusi i confini via terra, ed è con l’Azerbaijan in uno stato di conflitto a bassa intensità, con periodiche fiammate. Dal Karabakh l’Armenia ha ricevuto una parte influente della propria classe dirigente.
Pashinyan è il primo leader armeno a non essere originario del Nagorno Karabakh. Lo erano il suo predecessore Serzh Sargsyan, il due volte presidente poi primo ministro grande sconfitto dalla Rivoluzione di Velluto, e Robert Kocharyan, pure ex Primo Ministro e poi due volte presidente.
Un rapporto inscindibile per l’Armenia con un vicino che è uno stato che non riconosce, ma che è quasi paragonabile a una regione interna. Prestano servizio militare anche in Karabakh i coscritti armeni, e fra i due vi sono attive numerose cooperazioni, nonostante appunto il non riconoscimento formale. Insomma, è una quasi politica estera con un vicino-troppo vicino.

Gli effetti del cambiamento

Il nuovo governo armeno si è impegnato a portare un reale cambiamento, e per l’intensa relazione fra i due soggetti politici questo cambiamento non può che avere un forte impatto anche sul e nel Nagorno-Karabakh. Un impatto non privo di frizioni, con scenari appunto fino a poco tempo fa imprevedibili.
L’affare Kocharyan ha aperto una falla nel rapporto fra i due gemelli armeni. Il passaggio presidenziale di consegne Kocharyan-Sargsyan nel 2008 era stato accompagnato da una manifestazione di protesta repressa nel sangue. L’ordine di come gestire la piazza era stato emesso dal presidente uscente, non essendosi ancora insediata la nuova amministrazione.
Il governo Pashinyan aveva promesso giustizia e lotta alla corruzione, questioni che immancabilmente passano per le aule dei tribunali. Un anno fa circa, il 26 luglio 2018, i Servizi Investigativi armeni accusano l’ex presidente per i fatti del 2008. L’accusa è di attentato alla costituzione, cui si aggiunge l’accusa di corruzione. L’ex presidente il giorno dopo è in carcere. Rilasciato dalla custodia cautelare in agosto, viene arrestato nuovamente a dicembre. E qui si apre la falla: si mobilitano per il suo rilascio l’attuale presidente del Nagorno-Karabakh e il suo predecessore.
Kocharyan è rilasciato su cauzione nel maggio 2019. Giorni incandescenti intorno al tribunale di Yerevan, con lo stesso Primo Ministro Pashinyan che chiama la popolazione a intervenire contro la scarcerazione dell’imputato (https://www.rferl.org/a/armenians-heed-pm-s-call-to-blockade-courthouses/29953019.html).
La falla si apre non solo con il Karabakh, dove secondo Pashinyan si annidano forze anti-rivoluzionarie che ostacolano il cambiamento perseguito dal suo governo, ma anche fra i poteri dello stato, con l’esecutivo che annuncia una grande riforma del sistema giudiziario accusato di essere ancora affiliato all’oligarchia pre-rivoluzionaria.
Il 25 giugno Kocharyan torna in carcere. La condanna potrebbe essere di 15 anni di detenzione. L’affare Kocharyan torna al fresco con lui.

In bilico

Il rilancio economico dell’Armenia passa attraverso l’uscita dall’isolamento. Il paese confina con l’Azerbaijan, la Turchia, l’Iran e la Georgia. I confini sono aperti solo con gli ultimi due, e non sono comunque situazioni facili. Sul commercio estero dell’Iran grava il suo quadro geopolitico, mentre la Georgia gioca il ruolo non facile di cordone ombelicale fra Armenia e Russia, cosa che se geograficamente non è che naturale, politicamente non le è certo congeniale. Di nuovo in questi giorni le tensioni russo-georgiane (http://www.tempi-moderni.net/2019/07/05/la-calda-estate-georgiana/) hanno messo un’ipoteca sul commercio fra i due, e l’onda lunga di queste tempeste rischia sempre di colpire l’Armenia. Il paese ha urgenza di scardinare l’isolamento, e questo passa di nuovo per la questione del Karabkah.
Come tutelare il Karabakh ma uscire dallo stallo verso una soluzione politica che re-inserisca l’Armenia pienamente in quell’economia regionale che si va integrando intorno a lei, per ora escludendola?
Pashinyan ci prova: tenta di portare avanti un processo negoziale fra istanze per ora incompatibili. Per l’Azerbaijan il Karabakh gli appartiene, è parte dell’integrità territoriale nazionale e che l’Armenia è una forza occupante. Per cui la sua soluzione è una: il ritiro dell’occupazione. Il Karabakh – o Artsakh in armeno – si ritiene uno stato indipendente e accusa l’Azerbaijan di occupare una parte di sue province minandone l’integrità territoriale.
E per l’Armenia di Pashinyan? Yerevan preme perché al tavolo negoziale sieda anche l’Artsakh, condizione però inaccettabile per l’Azerbaijan che vi vede un atto di riconoscimento politico e che ritiene la propria controparte non una minoranza secessionista ma un vicino occupante. E l’Armenia non è disposta a concessioni unilaterali, che siano di natura territoriale o politica. Su posizioni più oltranziste i leader del Nagorno-Karabakh.
Insomma, un negoziato complicato per Yerevan, in bilico fra le esigenze e i taboo propri, ma anche quelli del Karabakh.

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